Lì dove c’era un centro scommesse ora c’è un’associazione culturale, si potrebbe iniziare, facendo il verso a Celentano. Quell’associazione si chiama ZIA, acronimo di Zona Indipendente Artistica, ed è stata fondata nel gennaio 2023 a Baia del Re, nome storico con cui i milanesi chiamano quella parte del quartiere Stadera a ridosso di via Montegani, per poi aprire le sue porte al pubblico ufficialmente a febbraio e presentare nei mesi di ottobre, novembre e dicembre la sua stagione teatrale.
Il board dell’associazione è formato da tre giovani donne, conosciutesi alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi: Eleonora Paris (drammaturga), Francesca Mignemi (drammaturga) e Virginia Landi (regista). Insieme a loro, a completare il pentacolo della Zona Indipendente Artistica – ZIA, Alessandro Balestrieri (attore) e Irene Serini (attrice).
A questi nomi corrispondono spettacoli che hanno attraversato le recenti stagioni teatrali, ufficiali e OFF, del teatro milanese, come ad esempio Sogni 2.0, Due Volte Tito – Sopravvivere alla tragedia, Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli, Theatrify – Dai scegli un pezzo, vincitore del premio della critica al FringeMi 2023 e più recentemente Preferisco il rumore del mare, e Witch Is, quest’ultimo presentato negli spazi dell’associazione.
Abbiamo quindi deciso di provare a comprendere meglio questa esperienza, chiedendo a ZIA un confronto diretto. Quello che leggerete di seguito sono alcuni stralci della lunga chiacchierata insieme a Paris, Mignemi e Serini, in cui oltre a indagare le ragioni e l’identità di questo singolare progetto, abbiamo raccolto la loro prospettiva sul ruolo e la funzione dell’arte, in particolare quella teatrale, nel contesto sociale attuale.
ZIA: Ricostruire poeticamente il mondo. Intervista a Eleonora Paris, Francesca Mignemi, Irene Serini.
ZIA acronimo di Zona Indipendente Artistica: Cos’è e perché nasce?
«Z.I.A. nasce come uno spazio in cui poter scrivere, provare, sperimentare. Quindi come una casa per i nostri progetti, ma anche casa per qualcosa che pian piano abbiamo definito teatro indipendente», dice Eleonora Paris, presidente dell’associazione. Le fa eco Francesca Mignemi: «Dopo il diploma in Paolo Grassi nel 2018, io Eleonora e Virginia desideravamo uno spazio in cui poter costruire uno spettacolo e dare anche la possibilità a delle compagnie come noi di costruire i propri». «Spesso un’associazione culturale è associabile a una compagnia», precisa Irene Serini. «Questo in ZIA non accade. ZIA è innanzitutto un luogo di accoglienza. Tant’è vero che abbiamo aperto il nostro spazio prove ad alcune compagnie indipendenti che hanno una linea artistica anche molto diversa dalla nostra».
Come si inserisce nel tessuto urbano? A chi vi rivolgete?
Serini: «Quando abbiamo inaugurato ZIA, la risposta più immediata è stata dai colleghi, e ancora oggi la comunità che più sostiene ZIA è fatta di teatranti e addetti ai lavori, ma la direzione che vorremmo perseguire è quella di intercettare i bisogni del quartiere, che non è abituato alla presenza di un teatro. Vorremmo riuscire a creare una comunità che trasformi positivamente questo territorio. Anche per questo abbiamo proposto, oltre agli spettacoli, delle attività laboratoriali aperte a tutti. ZIA ha una doppia anima: da un lato quella di essere una casa artistica per teatranti, dall’altro quella di provare ad essere un luogo catalizzatore per chi magari non frequenta abitualmente i teatri istituzionali, ma se ha un teatro vicino a casa che riesce a proporre qualcosa che non sia solo intrattenimento, magari ci va volentieri. Siamo in ascolto, vorremmo esplorare le esigenze e le necessità di chi vive in questa zona».
C’è una ragione particolare per cui avete scelto questo luogo?
Paris: «Il desiderio era di stare in periferia, dove sopravvive una Milano non gentrificata, molto lontana dalle narrazioni e dal lusso iper-capitalista di alcune parti della città. Una delle ragioni per cui ci siamo innamorate di questo spazio è perché era un centro scommesse. Potrebbe essere una delle poche volte in cui un centro scommesse chiude per fare spazio ad una associazione di questo tipo».
Siete un’associazione, ma non una compagnia. Lavorate a volte singolarmente a volte in gruppo, ma non avete mai fatto qualcosa tutti e cinque insieme. Ci sono delle affinità che vi legano?
Paris: «Innanzitutto siamo indipendenti. Questo vuol dire da un lato avere la libertà di lavorare ai propri progetti, dall’altro lavorare secondo delle logiche che non sono quelle della produttività o dei circuiti cosiddetti ufficiali».
Serini: «Questo implica anche fare i conti con dei mezzi diversi rispetto a quelli di chi viene prodotto e direzionare la propria creatività di conseguenza. Ciò che però profondamente lega tutte le nostre ricerche credo sia la volontà di trattare argomenti che in qualche modo accendono il pensiero contemporaneo, mettere sulla graticola temi di attualità, porre degli interrogativi cogenti del nostro tempo».
Mignemi: «Così come il punto di vista che cerchiamo di assumere, ossia quello di chi è stato dimenticato, silenziato o addirittura censurato, che di solito è il punto di vista mancante nella storia».
Ci sono delle realtà simili o delle esperienze artistiche affini al vostro modo di intendere il “fare teatro”?
Paris: «Io personalmente sono legata per formazione ai Frosini/Timpano e Kataklisma Teatro. E’ una dimensione, un modo di fare ricerca che sento molto affine. Così come le artiste e gli artisti con cui abbiamo lavorato o che hanno frequentato ZIA in questa prima parte di stagione. Lotto Unico a Roma potrebbe essere un tipo di realtà simile a ZIA».
Qual è il futuro di ZIA e cosa ci aspetta da questa Zona Indipendente Artistica nel 2024? Qual è l’idea di teatro che vi guida?
Mignemi: «Seguendo l’insegnamento di Peter Brook, direi che il teatro è il luogo della relazione, cioè è tale se è condiviso. Il linguaggio del teatro è fisico e come tale richiede di avvenire in presenza di qualcun altro. Una dimensione non scontata, se pensiamo che oggi siamo in condizione di godere di molti prodotti o tipi di intrattenimento completamente da soli, senza aver bisogno dell’altro. Per questo il teatro ha un valore collettivo, rituale. Si rivolge a una comunità che è quella che vorremmo costruire intorno a questo spazio coinvolgendo anche il quartiere».
Serini: «Della relazione e dell’emozione aggiungerei, ricordando Artaud, di liberazione di ciò che viene schiacciato quotidianamente dalla razionalità o dai ruoli che occupiamo nella vita. Riguardo al futuro di ZIA, sarebbe bello che fosse anche uno spazio dove creare una micro-circuitazione di compagnie indipendenti, fuori dalla circuitazione ufficiale. Questo darebbe a noi la possibilità di confrontarci e di riflettere sul nostro lavoro e farebbe senz’altro bene al territorio».
Paris: «E alle persone. Vorremmo che chi entra in contatto con ZIA percepisca una dimensione accogliente, di cura. Il lavoro che facciamo è per qualcun altro, che a teatro siamo abituati a chiamare pubblico. Anche negli incontri che facciamo a fine spettacolo c’è il tentativo di creare, come diceva Francesca, uno spazio di interazione e di relazione. Questa è ZIA. Viviamo un momento storico in cui sembra che il mondo stia crollando e credo ci sia l’esigenza di provare a costruire, a trovare alternative alla realtà che viviamo. In questo senso il teatro è fondamentale, perché è profetico, cioè è dove vediamo il margine prima che diventi centro. Un luogo in cui porre delle domande per creare senso critico sulla realtà, in cui mettersi in discussione, ma anche un luogo in cui a partire da degli interrogativi si può generare pensiero. Il teatro è un luogo di possibilità dove ricostruire il mondo poeticamente. E la poetica del ricostruire è in fondo politica ed è quella che manca nel nostro presente, un’altra idea di mondo. La capacità di ipotizzare mondi possibili, che è ciò che invece è il teatro».