È tornato nelle sale cinema dal 16 ottobre Searching for Sugar Man, il premio Oscar come miglior documentario dedicato a Sixto Rodriguez, bluesman e cantautore americano per troppo tempo dimenticato ma con una storia che vale la pena conoscere.
Ricordo di averlo visto per caso in una di quelle seconde serate di Rai5 che guardiamo probabilmente io e quelli che organizzano i palinsesti (forse). Raccontava la storia di quest’uomo, Rodriguez, che con la sua musica diede una nuova impronta sonora al blues e alla canzone cantautorale americana. La curiosità e la bellezza delle sue sonorità hanno fatto il resto. Sono riuscito ad acquistare il suo album, Cold Fact, dopo diverse ricerche online e nei negozi senza esito.
La prima traccia dell’album, uscito nel 1970, è proprio Sugar Man, che dà il titolo al documentario. L’impronta blues del musicista si sente quasi solo di sottofondo nello scorrere dei brani, contaminata da un accompagnamento di ottoni, saxofoni e in alcuni brani da elementi elettronici. È presente anche la Detroit Orchestra. I testi sono pura poesia, semplice e diretta, ricchi di una profondità malinconica che arriva dritta al cuore. Personalmente lo ritengo di gran lunga migliore rispetto a Bob Dylan, per rimanere nel cantautorato americano, soprattutto nell’aspetto compositivo e di arrangiamento dei pezzi. Sia chiaro, nulla voglio togliere al premio Nobel, ma l’immediatezza e le emozioni che Sixto riesce a trasmettere nei suoi brevi brani è qualcosa di meraviglioso. Anche la sua voce è in certi casi struggente e fortemente emozionale.
Brani che parlano di droga (come il sopracitato Sugar Man), di amori infranti come in Forget It e di una città, Detroit, che lo ha messo al mondo ma che lui vede con un occhio decisamente critico e carico di rammarico in Hate Street Dialog. Degna di note è anche la seconda traccia del disco, Only Good for Conversation, dove l’effetto distorto della chitarra anticipa di gran lunga le sonorità degli anni successivi. Purtroppo non la pensavano allo stesso modo gli ascoltatori americani, che non lo presero minimamente in considerazione. Infatti, contro ogni previsione dei produttori, i suoi due album (un terzo era in programma ma non fu mai pubblicato) furono un vero e proprio flop sul mercato statunitense.
Il luogo dove vendette più copie fu il Sud Africa, ma attenzione, non si sta parlando di migliaia di copie, ma di milioni. Non si sa bene come siano arrivati i dischi di Sixto Rodriguez nella punta estrema del continente africano. Fatto sta che le copie cominciarono a diffondersi per tutto il Paese, frutto di ripubblicazioni di etichette locali che cominciarono a riprodurre i dischi. Rodriguez diventò ben presto un idolo dei giovani sudafricani che si opponevano in quegli anni all’apartheid. Le sue canzoni divennero l’imprescindibile colonna sonora delle loro lotte, tanto che il governo arrivò a proibire la riproduzione dei brani dell’americano. Ad un tratto cominciò a circolare la voce che Rodriguez fosse morto suicida, ma due suoi fan non credettero alla storia e cominciarono a cercarlo.
Da questa ricerca nacque il docufilm “Searching for Sugar Man”. Il resto della storia ve la lascio scoprire nelle sale.
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