Il 15 febbraio 2012, a circa 20 miglia nautiche dalle coste indiane del Kerala, la petroliera italiana Enrica Lexie incrocia un natante con atteggiamento sospetto di probabile attacco piratesco. Tra le persone a bordo dell’Enrica Lexie ci sono i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre (capo di prima classe) e Salvatore Girone (sergente), appartenenti alla Compagnia Operazioni Navali del 2° Reggimento San Marco della Marina Militare. I due sono in missione di Nucleo Militare di protezione delle navi mercantili battenti bandiera Italiana in acque a rischio di pirateria. Al momento dell’incrocio con il peschereccio indiano i due marò, convinti di trovarsi sotto attacco pirata, attuano la proporzionalità prevista dalle procedure delle regole di ingaggio, sino a sparare senza colpire il natante in avvicinamento all’Enrica Lexie, comunque diverso per forma dimensione e colore da quello in cui ci furono due morti.
Sotto richiesta della guardia costiera indiana, l’Enrica Lexie attracca in un porto indiano. Il 19 febbraio i due marò vengono arrestati con l’accusa di omicidio. Da subito le autorità italiane provano a trovare una soluzione e rivendicano la propria giurisdizione sulla vicenda, ma si scontrano con la lentezza e con le ingerenze delle autorità indiane. Il 20 dicembre il governo italiano riesce ad ottenere un permesso di due settimane per i marò per trascorrere le vacanze natalizie in Italia. Il 18 gennaio i due marò sono trasferiti a Nuova Delhi e, su richiesta italiana, alloggiati nell’ambasciata italiana.
Il 22 febbraio a Salvatore Girone e a Massimiliano Latorre è concesso un permesso di 4 settimane per tornare in Italia in occasione delle elezioni politiche. L’ 11 marzo il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, annuncia che i fucilieri non faranno ritorno in India. Il ministero motiva la decisione con la mancata risposta del governo indiano alla proposta italiana di ricercare una soluzione diplomatica del caso. Il 14 marzo il governo indiano, come ritorsione verso l’Italia, limita la libertà personale dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, situazione non attuabile in quanto contrasto con le leggi.
Il 20 marzo Girone e Latorre sono indagati dalla Procura militare di Roma per dispersione di armamento militare. Le indagini sono volte ad accertare se i due marò abbiano violato le regole d’ingaggio. Il 21 marzo la presidenza del consiglio dei ministri annuncia che i fucilieri torneranno in India, dato che l’Italia pare abbia avuto garanzie circa la non applicabilità della pena di morte agli imputati, in contrasto con quanto annunciato dal governo indiano, che non ha potere sulla magistratura proprio come accade in Italia. La decisione causerà le dimissioni di Giulio Terzi. Il 1º settembre 2014 Massimiliano Latorre viene ricoverato nel reparto di neurologia di un ospedale di Nuova Delhi per Ischemia talamica destra. Il 12 settembre la corte suprema indiana gli concede di rientrare in Italia per un periodo di quattro mesi per curarsi. Latorre non farà più ritorno in India, dopo vari prolungamenti.
Il 26 giugno 2015 l’Italia attiva l’arbitrato internazionale. L’India accetta il procedimento. La corte suprema indiana rende esecutivo l’ordine del tribunale arbitrale di far rientrare in Italia Salvatore Girone. Il 2 luglio 2020 i giudici della Corte permanente di arbitrato riconoscono l’immunità funzionale ai soldati italiani. L’Italia è stata condannata a risarcire lo Stato indiano per aver intralciato la navigazione dell’imbarcazione. Il 15 giugno 2021 la Corte Suprema indiana ha chiuso tutti i procedimenti contro i due militari italiani a seguito del versamento di 1,1 milioni di euro a titolo di risarcimento da parte dello Stato italiano. Il 31 gennaio 2022 il GIP del Tribunale di Roma archivia l’indagine italiana perché i due militari agirono in stato di legittima difesa.
L’intervista a Massimiliano Latorre
Qual è stato il periodo o l’episodio peggiore che Lei ha vissuto durante la prigionia in India?
Non è facile individuare il periodo più difficile. Sicuramente lo sono stati i giorni in cui vi è stata un’accelerazione delle udienze in tribunale, nell’agosto del 2012. In quel periodo ebbi la chiara percezione che l’accanimento nei nostri confronti diventava più pesante. Difficile è stato anche il periodo del nostro ritorno in India il 21 marzo del 2013, dopo che l’11 marzo 2013 il ministro degli Esteri, Giulio terzi, aveva annunciato all’Italia che non saremmo più rientrati in India. Il ritorno in quel Paese in cui vigeva e vige la pena di morte, è stato inaspettato e duro. Una pena di morte, quella indiana, reale e non fittizia, alla quale saremmo potuti essere condannati.
Durante il periodo di prigionia, lo Stato Italiano ha fatto tutto il possibile per risolvere la situazione in tempi rapidi?
Io sono un militare, non mi è dato giudicare l’operato dei miei superiori e tantomeno delle istituzioni. Non saprei risponderLe.
Se avesse la possibilità di tornare indietro, sceglierebbe comunque di far parte della Marina e del San Marco?
Non una, mille volte. Anche se incappato, mio e nostro malgrado, in questa situazione, ho ricevuto grandi soddisfazioni dalla Forza armata e dal reparto e ho affrontato un percorso di crescita psicologica.
Ritiene di essersi lasciato alle spalle ciò che è accaduto o ha ancora delle ferite aperte?
I fantasmi sono sempre presenti e pronti a rispuntare. Reagire è difficile, ma è necessario farlo. Credo che un punto di svolta potrà esserci grazie al lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta proposta dall’attuale viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli. Mi auguro che questa commissione possa avere luogo e possa dare delle risposte agli italiani e a me stesso.
Cosa è accaduto alla Sua carriera dopo il rientro in Italia?
Purtroppo io sono rientrato in Italia nel settembre del 2014 dopo essere stato colpito da un ictus alla fine dell’agosto di quell’anno. Mi considero un miracolato ad essere presente ancora su questa Terra a parlare con Lei. Non sono più idoneo alla forza da sbarco, quindi attualmente lavoro come sottoufficiale di Marina all’interno di un ufficio.