Pubblichiamo un estratto dell’intervista realizzata al Senatore Dario Stefàno nell’ambito della rassegna Piazza Parlamento, realizzata in vista dei referendum del 12 giugno prossimo. Dario Stefàno, orgogliosamente originario di Otranto, docente presso l’Università del Salento, è stato capogruppo di maggioranza nel Consiglio regionale della Puglia, presidente della Commissione permanente Sviluppo Economico in Regione e Assessore regionale alle Risorse Agroalimentari. Nel 2013 è stato eletto Senatore della Repubblica, diventando successivamente Presidente della Giunta per le Elezioni, le Autorizzazioni e le Immunità. Cinque anni più tardi, è rieletto senatore in seguito alla sua candidatura con il Partito Democratico nel collegio plurinominale Puglia 02. Vice capogruppo del Partito Democratico fino al 2020, assume a luglio dello stesso anno la Presidenza della Commissione Politiche dell’Unione Europea. La videointervista integrale è consultabile cliccando sul presente link.
Senatore, i testi dei cinque quesiti dei referendum sono abbastanza complessi. Il tema più sentito riguarda l’abolizione della Legge Severino. Qual è la sua personale opinione sui cinque quesiti referendari?
Sono molto diretto, come amo essere sempre. In linea di principio, un referendum che interroga su materie assolutamente tecniche non ritengo sia uno strumento adeguato per intervenire su materie verso le quali, comunque, è necessario intervenire. Credo che non sia una soluzione ottimale rimandare a un’espressione popolare quella che è una necessità di riforma che tocca tanti aspetti della Giustizia. I cinque quesiti lo fanno in forma frammentata. Il compito di risolvere i problemi della Giustizia dovrebbe essere delle aule del Parlamento. La consultazione non tocca, poi, il tema principale: il problema vero della Giustizia in Italia è quello della lentezza dei processi.
Io mi esprimerò con un parere negativo a tutti i quesiti, anche se condivido quanto ha detto il segretario Letta circa la necessità di mettere mano alla Legge Severino. Mettere mano, non abolirla. Credo che l’incandidabilità per chi abbia subito condanne passate in giudicato vada conservata. Essa ci ha riportato agli standard delle altre democrazie europee. Chi ha ricevuto delle condanne passate in giudicato perde il requisito di onorabilità per poter rappresentare i cittadini. Il referendum elimina questa norma. Noi abbiamo la necessità di intervenire sulla parte che riguarda le sospensioni per gli amministratori locali.
Abbiamo assistito, in questi anni, a delle vere e proprie distorsioni amministrative con conseguenze gravi anche per il territorio. Per gli amministratori locali, infatti, al momento è prevista una procedura di sospensione sin dall’espressione di giudizio di primo grado. Questo evidentemente comporta delle problematiche. C’è un disegno di legge del PD in merito. In Senato è già incardinato in commissione affari costituzionali. Si potrebbe tranquillamente mette mano a quello, senza abolire la Legge Severino che va conservata. Non lo dico solo perché sono stato il principale protagonista della prima applicazione della Legge Severino su un parlamentare, mi riferisco alla vicenda del senatore Berlusconi del 2013, ma perché credo che sia giusto conservare questo standard che ci equipara alle altre democrazie europee e occidentali.
Il quesito riguardante la depenalizzazione della cannabis e quello relativo al fine vita non sono stati approvati dalla Consulta. Qual è la sua opinione su questi due temi?
Ribadisco quanto ho detto prima. Anche qui si tratta di temi che non possono essere tirati per la giacchetta. Rischiano di diventare terreno di scontro tra diverse fazioni. Io credo invece che la classe politica debba farsi carico della responsabilità di fornire le migliori risposte alle esigenze che emergono sempre con angolazioni nuove, con evoluzioni del quadro sociale. Per essere degni di questo compito, credo ci si debba avvalere anche del confronto con gli esperti. Per questo, quando si fa una legge, si ha l’abitudine di audire persone particolarmente competenti. Sulla base di questi pareri e di un confronto, costruiamo la proposta più congruente al momento attuale. Su temi così delicati come questi dobbiamo smettere di essere il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini. Il derby su queste materie non va fatto e non aiuta a risolvere i problemi.
Come si esprime in merito alla proposta di eliminazione del quorum fissato al 50% + 1 nei referendum?
Ritengo che il quorum sia un presidio di rispetto del principio di rappresentanza democratica. Lo dicono tutti i costituzionalisti: l’astensione rimane una forma di voto. Le determinazioni che scaturiscono da un referendum devono essere sostenute da una soglia di rappresentanza adeguata che rappresenti realmente e democraticamente il popolo italiano e che è quella della 50% più uno della popolazione chiamata al voto.
Un tema di discussione riguarda la possibilità di esercitare il diritto di voto anche “fuori sede”. Lei crede che sia una proposta valida?
Sì. Io credo che il diritto di voto vada assicurato sempre e da sempre mi sono battuto per garantire il voto ai fuori sede. Ho presentato più interrogazioni per chiedere di ampliare l’accesso a treni e a voli aerei con prezzi calmierati. Oggi abbiamo la possibilità di investire in forme nuove di espressione del voto, come quello elettronico. Esse possono risolvere il problema di partecipazione alla vita democratica. La digitalizzazione che noi perseguiremo con il Pnrr può aiutarci. Abbiamo visto quanto siamo distanti dall’Europa. In piena pandemia, il Parlamento europeo si è espresso a distanza, con un sistema di voto digitale. In Italia non l’abbiamo fatto, abbiamo resistito appellandoci ad una “rigidità costituzionale”. Io credo che si tratti anche di una nostra pigrizia di natura culturale. Il Pnrr ci da una grande opportunità: dobbiamo coglierla sin da subito.
A cosa è dovuto il ritardo italiano nel recepimento delle direttive europee e quali sono a suo avviso le azioni che Parlamento e Governo dovrebbero intraprendere per contenere le procedure di infrazione?
Secondo la Banca Dati EUR-infra, al 19 maggio del 2022 risultano pendenti contro l’Italia 98 procedure di infrazione. Tra queste, 62 sono per violazioni del diritto dell’Unione europea, 36 per mancato recepimento di direttive. Con l’entrata in vigore della prossima legge di delegazione europea, che stiamo analizzando nella mia Commissione, ci sarà un’ulteriore diminuzione delle procedure. Il nostro è uno dei sistemi di recepimento più avanzati. Esso fissa il termine per recepire la direttiva a quattro mesi antecedenti la scadenza. Ci sono dei temi che per loro natura provocano discussioni che talvolta rallentano l’iter di recepimento. Pensiamo al tema balneare, tanto attuale in questi giorni, e delle concessioni demaniali in genere. Siamo quasi abituati a vedere l’Europa soltanto quando ci piace e non quando ci chiama invece a delle evoluzioni in senso economico e sociale.
L’anno scorso abbiamo approvato una norma che abilita il governo a presentare due leggi di delegazione europea e due leggi europee ogni anno. In questo modo, se ci fosse un tema controverso, si potrebbe avere uno strumento normativo più prossimo permettendo così di portare avanti l’attuazione delle direttive. Lo Stato italiano ha già pagato all’Unione europea importanti multe per varie procedure d’infrazione pendenti. Nell’ultima relazione della Corte dei conti trasmessa al Parlamento Italiano è indicata la somma di 751,6 milioni di euro di multe che abbiamo già versato. Per evitare ulteriori esborsi monetari, oltre a vincere le ataviche resistenze che sono fatte in difesa di corporazioni particolari, noi dobbiamo accelerare il recepimento delle normativa europee.
L’Europa deve essere la nostra casa non solo quanto ci consente di superare la crisi Covid, ma anche quando ci chiede di condividere e rispettare regole e principi comuni che sono principi di democrazia, di civiltà e anche di evoluzione del quadro economico e sociale nel quale viviamo.