sabato, Aprile 19, 2025
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Chi era Desmond Tutu

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È morto, all’età di 90 anni, l’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu, uno dei simboli della lotta non violenta contro l’apartheid e promotore della riconciliazione nazionale. Nel 1984 ricevette il Nobel per la pace. Tutu lottò per anni al fianco di Nelson Mandela e ideò la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc), un tribunale con 17 giurati istituito nel 1995. Da presidente della commissione, condusse l’inchiesta sulle atrocità del regime segregazionista, offrendo il perdono a coloro che confessarono i propri crimini. Il tribunale concesse una riparazione morale ai familiari delle vittime. Alla fine dei tre anni di durata dell’inchiesta, 849 persone ottennero l’amnistia. Essa fu negata a 5.392 individui.

La sua lotta politica nasce dal concetto Rainbow Nation (nazione arcobaleno), che descrive la convivenza pacifica, all’interno del Sudafrica, tra le diverse etnie del paese. Nel 1957, Desmond Tutu si dimise dalla suo ruolo di insegnante a causa dell’approvazione del Bantu Education Act. Il provvedimento rafforzò la discriminazione razziale all’interno del sistema scolastico sudafricano. Nominato pastore anglicano nel 1960, nel 1978 divenne segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese. Utilizzò il prestigio del suo ruolo per rafforzare la sua lotta contro l’apartheid, raccogliendo il pieno sostegno di quasi tutte le chiese sudafricane.

Uomo di straordinario intelletto, integrità e invincibilità contro le forze dell’apartheid“, lo ha ricordato il presidente del Paese, Cyril Ramaphosa, “è stato anche tenero e vulnerabile nella compassione per chi aveva sofferto l’ingiustizia e la violenza sotto la segregazione e per gli oppressi e gli emarginati di tutto il mondo”.

“Sclero – il gioco degli imperatori”, appuntamento con Edoardo Vecchioni

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Quinto appuntamento della rassegna culturale di Associazione Valentia in collaborazione con Like Quotidiano. Lunedì 27 dicembre 2021, alle ore 19, Federico Demitry dialogherà con Edoardo Vecchioni, autore del libro “Sclero – il gioco degli imperatori“, edito da Sperling & Kupfer. Si tratta del romanzo d’esordio di Vecchioni, una storia di formazione dalla trama imprevedibile che gioca con i generi narrativi e sorprende i lettori.

Quanto era stato nascosto nella sua mente? Era uscito allo scoperto o si stava ancora rifugiando?” Le cattive notizie non si presentano mai da sole, e Cornelio lo sa bene. Da quando gli hanno diagnosticato la sclerosi multipla, la sua vita sta andando a rotoli e, come se non bastasse, persino Veronica lo ha lasciato. Ma le cose sembrano cambiare il giorno in cui incontra Angelo Parilia, il fondatore della CineChiesa, una vecchia chiesa sconsacrata di periferia riconvertita a sala proiezione di film poco mainstream.

Questo ricco professore affetto da nanismo, che colleziona busti greco-romani e pare avere molto da nascondere, propone a Cornelio, in cambio di un aiuto con il profilo social della CineChiesa, di partecipare a un gioco che lo diverta e lo distragga dalle sofferenze che la vita gli sta riservando. Per entrare a far parte del privé esclusivo degli imperatori il protagonista, come Ercole prima di lui, dovrà affrontare cinque prove, ispirate a curiosità e vizi di altrettanti celebri imperatori romani. Sarà quello l’inizio di un’avventura, tra incontri e scontri ai limiti dell’assurdo, che, nata come un gioco, finirà per diventare una battaglia per la sopravvivenza.

L’autore

Edoardo Vecchioni è uno scrittore milanese di 29 anni. È il figlio della scrittrice Daria Colombo e del professore, scrittore e cantautore Roberto Vecchioni. Conseguita la maturità scientifica, si è diplomato alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, dove si è specializzato in scrittura multimediale. Ha pubblicato diversi articoli per il giornale l’Unità.

La presentazione di Sclero – il gioco degli imperatori sarà trasmessa in diretta sulla pagina Facebook di Like Quotidiano e sui canali Facebook e YouTube di Associazione Valentia.

Dalle Alpi all’Etna, seconda tappa

145 sono i chilometri percorsi ieri da Roberto Schettino in sella alla sua bicicletta. Dopo la prima sosta ad Adria, Schettino ha raggiunto Rimini. L’obiettivo è quello di percorrere più di 1400 chilometri, da Pordenone a Palermo, in sella alla sua bicicletta. Like Quotidiano sta seguendo il tour dalle Alpi all’Etna, che ha come fine il sostegno al CRO (centro di riferimento oncologico) di Aviano e all’associazione PIER – Pura Energia d’Amore.

Una seconda giornata abbastanza complicata, come è stata la prima. Roberto ha dovuto affrontare una costante pioggia e una temperatura di circa sei gradi. “Sono un po’ in ritardo rispetto alla tabella di marcia perché il meteo mi ha messo alla prova più del previsto. Fisicamente mi ha distrutto. Mentalmente, le difficoltà atmosferiche mi hanno fatto riscoprire dei miei aspetti interiore inediti, e questo mi piace molto. Il mio corpo si sta adattando alla fatica, aumentando il proprio limite. Mi rendo conto che un opportuno lavoro mentale può portare a significativi giovamenti dal punto di vista fisico.” In questi due giorni, Roberto Schettino ha percorso circa 275 chilometri nel suo tour dalle Alpi all’Etna

L’associazione PIER – Pura energia d’Amore promuove e finanzia “Per incanto“. Si tratta di un progetto artistico per aiutare i piccoli pazienti a vincere la paura. Il bunker e la sala della tomoterapia del CRO di Aviano diventeranno un bosco incantato, un luogo magico ricco di colori e di emozioni. Puoi effettuare una donazione tramite PayPal o inviando un bonifico a: CREDIFRIULI Gemona del Friuli IBAN: IT 36 I070 8563 8800 0000 0038 922.

Dalle Alpi all’Etna, prima tappa

È iniziata ieri dalle Alpi all’Etna, la nuova impresa di Roberto Schettino. Il 44enne di Pordenone ha come obiettivo quello di percorrere più di 1400 chilometri, da Pordenone a Palermo, in sella alla sua bicicletta. Like Quotidiano sta seguendo il tour dalle Alpi all’Etna, che ha come fine il sostegno al CRO (centro di riferimento oncologico) di Aviano e all’associazione PIER – Pura Energia d’Amore.

Nella giornata di ieri, Roberto ha percorso circa 130 chilometri, lottando contro la pioggia e contro le temperature molto basse. Una giornata che Schettino, in serata, ha definito massacrante. “Mi sono fermato nei pressi di Adria, in un piccolo albergo, per farmi una doccia e per scaldarmi. Ero zuppo! Adesso riposo qualche ora e domani punto Rimini e qualcosa in più, se il meteo lo permette. Oggi il freddo mi ha tagliato le gambe, insieme alla pioggia, lungo la Romea ss309” ha raccontato Roberto a Like Quotidiano nella serata di ieri.

L’associazione PIER – Pura energia d’Amore promuove e finanzia “Per incanto“. Si tratta di un progetto artistico per aiutare i piccoli pazienti a vincere la paura. Il bunker e la sala della tomoterapia del CRO di Aviano diventeranno un bosco incantato, un luogo magico ricco di colori e di emozioni. Puoi effettuare una donazione tramite PayPal o inviando un bonifico a: CREDIFRIULI Gemona del Friuli IBAN: IT 36 I070 8563 8800 0000 0038 922.

Un gesto di vicinanza al personale sanitario

Giovedì 23 dicembre 2021 l’Associazione Valentia e la Giacinto Callipo Conserve Alimentari hanno voluto omaggiare tutto il personale sanitario dell’Ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia consegnando 500 panettoni prodotti dall’azienda Callipo. L’iniziativa è stata realizzata per dimostrare vicinanza ai sanitari in occasione del Natale.

La nostra donazione è solo un piccolo gesto per dimostrare riconoscenza al personale medico. Da oltre un anno i sanitari sono schierati in prima linea per far fronte alle urgenze legate alla pandemia. Professionisti che svolgono il loro lavoro con grande responsabilità. Donne e uomini che quotidianamente compiono un’importante missione umanitaria.
Abbiamo deciso di essere ancora una volta al fianco dei volontari dell’Associazione Valentia. Riteniamo che il loro impegno, serio e costate nel sociale è ammirevole e di grande impatto
“, ha dichiarato il Presidente dell’azienda Pippo Callipo. Anthony Lo Bianco, Presidente di Valentia, sostiene che quello di ieri sia stato “un piccolo gesto per ringraziare il personale sanitario dell’encomiabile lavoro che stanno svolgendo in maniera incessante, con abnegazione e grande umanità“.

Un segnale di vicinanza a chi combatte in prima linea

In questo momento storico così triste e difficile come quello che stanno vivendo gli ospedali italiani – continua Lo Biancol’Associazione Valentia, insieme al gran cuore della famiglia Callipo, ha deciso di esprimere il più profondo sentimento di gratitudine e di stima per l’impegno profuso e per l’alto spirito professionale con il quale i medici e paramedici impegnati in questi mesi nella battaglia contro il Covid-19, stanno fronteggiando e arginando questa emergenza, consegnando loro centinaia di panettoni.

Siamo consapevoli che anche quest’anno sarà un Natale diverso. Abbiamo voluto dare un segnale di vicinanza a chi, dal primo giorno, combatte in prima linea per un’emergenza che sta affliggendo il nostro Paese.
Un sentito grazie a Pippo Callipo, ai suoi figli Giacinto e Filippo Maria per il sostegno continuo e la vicinanza relativa alle attività benefiche, sociali e solidaristiche per il nostro territorio. I fantastici panettoni Callipo fatti con il cioccolato, gli agrumi ed i fichi di Calabria vogliono rappresentare un gesto fatto con il cuore“.

Nelle giornate di ieri e di oggi, associazione e azienda hanno distribuito i panettoni direttamente nelle mani dei responsabili di ogni reparto. Essi hanno poi provveduto alla consegna.

“Nel buio della casa”, il romanzo di Fiore Manni e Michele Monteleone

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C’erano una volta Noah, Allison e la loro nuova splendida casa“. Potrebbe essere l’incipit di una favola. Invece è l’inizio di un incubo. Nel buio della casa è un horror italiano con echi nel mondo del fumetto, una grande storia d’amore quella creata da Fiore Manni e Michele Monteleone ed edita da Sperling & Kupfer. Alberto Pizzolante, redattore di Like Quotidiano, ha intervistato i due autori nell’ambito della rassegna culturale organizzata da Associazione Valentia in collaborazione con questa testata. Di seguito, una sintesi della videointervista pubblicata sui nostri canali social.

In Italia, pochi sono gli autori che scelgono di pubblicare romanzi horror. Per quale motivo avete compiuto questa scelta?

Fiore Manni: L’horror è un genere che in Italia non va per niente, infatti è stata una scelta un po’ azzardata la nostra. Una scelta mossa dalla passione che condividiamo per questo genere. I lettori italiani leggono principalmente Stephen King, suo figlio Joe Hill, Shirley Jackson, Lovecraft, autori classici. Le proposte delle case editrici sono poche proprio perché non c’è una grande richiesta da parte del pubblico. Sperling & Kupfer ha lanciato la collana Macabre, di cui fa parte anche il nostro romanzo. È una casa editrice che ci piace molto perché osa e ha voglia di portare qualcosa di nuovo in libreria.

Michele Monteleone: Probabilmente, se avessimo scritto un thriller o un giallo sarebbe stato più semplice venderlo, ma noi siamo appassionati del genere. Noi italiani siamo dei grandi spettatori di horror e in Italia c’è un’importante tradizione cinematografica del genere, basti pensare a Dario Argento e a Mario Bava. L’horror è un importante genere “morale”, che ti insegna a non andare nella foresta per non essere mangiato dai lupi.

Stephen King è il nome di uno dei vostri personaggi. Inoltre, è uno degli autori da voi citati nei ringraziamenti, insieme a Richard Matheson e a Jonathan Hickman. Quanto avete preso da questi autori e quanto per voi sono stati importanti nella scrittura di Nel buio della casa?

MM: Tantissimo. Come dice Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog, se sei un vero artista devi rubare, non omaggiare. È esattamente quello che abbiamo fatto con tanti autori che amiamo, prendendo da loro soprattutto le atmosfere. Da questo punto di vista, il nostro libro può essere definito kinghiano.

Nel buio della casa è il vostro primo libro scritto a quattro mani. Quanto è stato difficile farlo e qual è stata la vostra organizzazione?

FM: Per ciò che riguarda l’organizzazione, io ho rubato il metodo che Terry Pratchett e Neil Gaiman hanno utilizzato nella scrittura di Buona Apocalisse a tutti!. Un autore scriveva un pezzo e lo consegnava all’altro che lo rimaneggiava. In questo modo, le due penne potevano coesistere e amalgamarsi. Noi abbiamo diviso il lavoro ed entrambi abbiamo lavorato su quello che l’altro produceva.

MM: La preparazione al lavoro è stata più semplice per me, avendo io lavorato in team nel mondo dei fumetti. Per Fiore, che ha scritto prosa da sola davanti al computer, la difficoltà è stata maggiore. Il primo ostacolo che abbiamo dovuto superare è stato la creazione di una scaletta. Le voci dei due protagonisti si alternano. Essi raccontano due storie incociate che si svolgono a distanza di quattro anni l’una dall’altra. Per riuscire ad eseguire alla perfezione l’incastro, la scaletta è stata fondamentale.

È molto interessante la doppia linea narrativa presente nel libro. Qual è stata l’idea di fondo che vi ha portato all’adozione di questa struttura?

MM: La storia nasce da un’idea che avevo avuto per un fumetto. Fiore ha pensato di convertire la storia in un romanzo. Nella prima stesura il protagonista era Noah e la storia si sviluppava nel presente, con la presenza di alcuni flashback. Fiore ha scelto di aggiungere, come voce narrante, il personaggio femminile e di rendere così la storia più corposa. Alternare le due linee narrative è stata una sfida, come lo è stato scrivere la linea di flashback di Allison, lasciando all’interno degli elementi di novità.

Per quale motivo avete scelto di non ambientare il romanzo in Italia?

FM: Le nostre case non hanno la stessa fragilità di quelle americane, per questo abbiamo scelto di ambientare in America il nostro romanzo.

MM: Noah attraversa l’America in un classico on the road proprio di quella cultura e visita motel, stazioni di servizio. Egli è un personaggio sradicato dalla sua casa che inizia a vivere in questi luoghi-non luoghi. Questo tipo di luoghi è proprio di un’ambientazione americana.

Avete pensato a realizzare un fumetto o qualcosa di animato partendo da Nel buio della casa ?

MM: Ci piacerebbe moltissimo, anche perché lavoriamo molto con le immagini quando scriviamo. Abbiamo lasciato uno spiraglio all’interno della narrazione che potrebbe consentirci, in futuro, di scrivere un fumetto su qualcosa di antecedente la storia presente in questo libro.

Quali sono i sentimenti e le emozioni che attraverseranno i vostri lettori?

FM: Paura. Io spero che il libro terrorizzi un po’ le persone. Naturalmente la paura è soggettiva.

MM: Se qualcuno piange, sono molto felice.

È stata la mano di Dio, il nuovo capolavoro di Paolo Sorrentino

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Siamo a Napoli, negli anni Ottanta. La bellissima e pazza zia Patrizia (Luisa Ranieri), simbolo delle pulsioni erotiche nonché musa ispiratrice di Fabietto Schisa (Filippo Scotti), alter ego del regista, attende l’autobus per tornare a casa, in una magnifica Piazza del Plebiscito congestionata dal traffico. Enzo De Caro, nelle vesti di San Gennaro, le offre un passaggio in una Rolls-Royce d’epoca: comincia così È stata la mano di Dio, il nuovo film del premio Oscar Paolo Sorrentino, in cui fantasia e realtà, follia e umanità viaggiano insieme senza mai dividersi.

Sembra quasi di poter entrare in casa della famiglia Schisa, sedere sul divano mentre gioca il Napoli, ridere di gusto per gli scherzi della madre (Teresa Saponangelo) e sentire il cuore riempirsi di dolcezza per le preoccupazioni amorevoli del padre (Toni Servillo). Si sprofonda completamente in tutta la verità e il folclore familiare. I sontuosi e divertenti pranzi di famiglia, le “cafonate”, le bottiglie di salsa riposte a bollire nei grandi pentoloni. E poi le follie della zia Patrizia, oggetto di desiderio e vergogna, le gite in barca.

Fabietto, solitario e appassionato di Dante, con il suo immancabile walkman, che lo accompagna astutamente per tutta la durata del film senza mai riprodurre alcuna canzone eccetto Napule è nella scena finale, osserva attentamente la realtà che lo circonda, inconsapevole che un giorno sarebbe riuscito a trasformarla in un capolavoro cinematografico. Una delle particolarità che differenziano questa pellicola dalle altre precedentemente prodotte dal regista è certamente la mancanza di musica; al contrario vi è un grande lavoro sui suoni, come se Sorrentino avesse voluto riprodurre quelli della sua giovinezza, che ancora custodisce nella memoria: il tuuf tuuuf dei motoscafi o il rumore dei motorini.

La mano di Dio del Pibe de oro

Ma la vita degli Schisa è destinata a cambiare per sempre. Fabietto ha solo 16 anni quando entrambi i genitori muoiono all’improvviso. La causa è un avvelenamento da monossido di carbonio provocato da una fuga di gas nella casa di villeggiatura a Roccaraso. L’unica ragione per cui il protagonista non si trovasse lì quella notte, salvandosi, è stata quella di aver ottenuto il permesso di restare a casa per andare a vedere Maradona che giocava a Empoli in trasferta con il Napoli: ecco, “la mano di Dio” è quella del Pibe de oro che lo ha graziato.

Non a caso all’inizio del film su uno sfondo nero campeggia la frase emblematica pronunciata da Maradona: “Ho fatto quello che ho potuto. Non credo di essere andato così male“. Quella notte rappresenta un punto di non ritorno per il protagonista. È il momento in cui vede la fine della sua gioventù e gli albori dell’età adulta, sebbene il seme del disincanto per la vita fosse già sbocciato dopo aver scoperto il tradimento del padre e il profondo dolore della madre. Fabietto inizia a disunirsi da qui.

Il tentativo di ricomporre il futuro, partendo dal dolore

Sorrentino, raccontando dei suoi genitori in un’intervista a Repubblica, ha dichiarato: “[…] Però non averli potuti vedere è il mio trauma più grande. Mancando il congedo, il saluto, inconsciamente scatta l’abbandono. Ecco, se ne sono andati senza salutarmi“. La solitudine diventa dunque separazione e il futuro perde i suoi contorni nitidi. “Non me li hanno fatti vedere” grida Fabietto con tutta la forza che ha dentro di sé davanti al suggestivo Golfo di Napoli tinto dai primi colori dell’alba, quando il regista Antonio Capuana, a cui si rivolge per iniziare a muovere i primi passi nel mondo del cinema, considerando la realtà ormai scadente, gli chiede: “A tien’ ‘na cosa ‘a raccuntà? […] ‘Nu dolore?“. Un dolore da cui partire, una crepa da cui far entrare luce. E di fronte a tutta quella rabbia e sofferenza gli grida “Non ti disunire“.

Parole che risuonano nella baia napoletana come un eco e ricordano a tutti noi la bellezza del rinnovamento che caratterizza anche gli eventi più dolorosi. La condizione dettata dal destino fatale pone quindi il protagonista di fronte a scelte difficili, per tentare di ricomporre sé stesso. E così inizia a pensare al suo futuro. Si reca a Roma, dove cercherà (e troverà) la strada giusta, ovvero quella in cui si diventa ciò che si è, come scriveva Nietzsche.

Una pellicola sensazionale nonché il primo film del premio Oscar basato sul vero e non più sul verosimile, per quanto il cinema possa effettivamente avvicinarsi alla vita reale. Sorrentino aveva già rappresentato la sua condizione di orfano attraverso il personaggio di Lenny Belardo nella serie Netflix The Young Pope. Un film pieno di speranza per l’avvenire che, nonostante le sofferenze della vita tendano spesso ad oscurare, bisogna solo aspettare, esiste per tutti.

Chiara Urso

“Sempre dalla parte dei sogni”, LikeQuotidiano intervista Claudio Pelizzeni

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Quarto appuntamento della rassegna culturale di Associazione Valentia in collaborazione con Like Quotidiano. Lunedì 20 dicembre 2021, alle ore 19, Chiara Urso dialogherà con Claudio Pelizzeni, autore del libro “Sempre dalla parte dei sogni“, edito da Sperling & Kupfer.

Nato nel 1981 a Codogno, Claudio Pelizzeni è cresciuto a Piacenza. Laureatosi alla Bocconi, ha lavorato per quasi dieci anni in vari istituti creditizi a Milano. Ha lasciato il lavoro per fare il giro del mondo senza aerei. Durante il viaggio, ha lanciato il blog Trip Therapy e i suoi video sono diventati virali sul web. Al suo ritorno ha pubblicato il racconto di quell’avventura: L’orizzonte, ogni giorno, un po’ più in là, che ha riscosso subito un grande successo ed è oggi uno dei libri più amati nella narrativa di viaggio. Da allora, viaggiare è per Claudio non solo una passione, ma la vita stessa.

Dalle rive del Gange alla vetta del Kilimangiaro, dalle infinite strade australiane alle salite degli Appennini, il libro è un’appassionata riflessione sul senso del viaggio e sulla possibilità di reinventarsi anche quando gli orizzonti si restringono intorno a noi. Appuntamento sulla pagina Facebook di Like Quotidiano e sui canali Facebook e YouTube di Associazione Valentia.

Far finta di essere sani di Gaber e Luporini al Teatro Menotti

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Andrea Mirò, Enrico Ballardini e la band Musica da Ripostiglio riportano in scena Far finta di essere sani di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. La magia avviene al Teatro Menotti, dove prende vita il celebre spettacolo del ’73 in forma di concerto. Con gli splendidi arrangiamenti di Musica da Ripostiglio, Mirò e Ballardini ci accompagnano nell’emozionante scoperta di pezzi e monologhi senza tempo, ma soprattutto di quel meraviglioso mondo che era il teatro canzone di Gaber e Luporini.

Far finta di essere sani in scena al Teatro Menotti

Chitarre e ukulele, armonica a bocca e contrabbasso, xilofono, batteria, diamonica: un tripudio di strumenti scandisce il tempo delle emozioni e dei ragionamenti. Molte sono le sfumature dello spettacolo che ci vengono restituite, merito degli arrangiamenti e dei due attori e performer, Mirò e Ballardini. I due, riescono nell’operazione di dialogare su un testo scritto e pensato per una persona sola, cucito sulla sua espressività, ossia Giorgio Gaber. Così abbiamo l’opportunità di apprezzare le sfumature di Chiedo scusa se parlo di Maria, l’essenza dolce-amara di un brano come Lo shampoo, troppo spesso frainteso; di commuoverci con Cerco un gesto, un gesto naturale e con l’omonimo Far finta di essere sani.

Lo spettacolo

La fedeltà all’originale gaberiano è quasi totale, con alcuni tagli e aggiunte, come lo splendido monologo sul Suicidio preso a prestito da Polli d’allevamento (lavoro successivo rispetto a Far finta di essere sani). Operazioni che testimoniano la rielaborazione, sicuramente necessaria, dell’originale, con un accento posto fortemente sul minuscolo del quotidiano e sulla sua umanità.

La messa in scena, infatti, restituisce l’incespicare e i bollori dell’uomo urbano scomposto, disunito, che perde i pezzi; la cui schizofrenia e il cui disagio sociale parlano in fondo di ognuno di noi. Pieghe esistenziali e universali, sapientemente svolte dalla scrittura di Gaber e Luporini, e con cui lo spettacolo, con ironia, leggerezza e ilarità, spinge a confrontarci. La gamma dei sentimenti è quindi vasta, e non mancano nemmeno la rabbia, l’impotenza e la frustrazione. Da citare in questo senso almeno le riuscitissime rese a due voci de L’elastico e Dall’altra parte del cancello, testo geniale, drammatico nella sua semplicità, che pone l’accento sui concetti di normalità e follia.

Infine, chi conosce il Signor G., non potrà non commuoversi all’impatto col palco. Uno spazio scenico dominato dagli strumenti con al fondo un grande telo che ripercorre, nei diversi momenti, tutto lo spettro cromatico, giocando con il buio e la luce, accendendo e spegnendo i contorni umani e residuali delle cose, delle sedie, dei cavi, degli strumenti. In pieno stile teatro canzone.

Uno spettacolo fuori dalle mode, insomma. Ideale, oltre per quanto già scritto, per convincere i più ostici a riscoprire semplicemente il gusto e il piacere di una serata a teatro.

Info tecniche

Produzione TIEFFE TEATRO MILANO

In collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber

di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

adattamento e regia Emilio Russo

con Andrea Mirò, Enrico Ballardini e Musica da Ripostiglio

Ulteriori informazioni sul sito di Teatro Menotti.

Federico Demitry

Jacques Lecoq – Viaggio in Italia

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Si chiama Jacques Lecoq, viaggio in Italia, il documentario presentato in anteprima ieri al Teatro Piccolo Grassi di Milano e che sarà in onda il 18 dicembre su Rai 5. Un prodotto originale che ripercorre le tappe in Italia di Lecoq: da Padova a Milano, a Roma a Siracusa, ricostruendo i legami con le personalità e il patrimonio artistico del nostro Paese. Hanno introdotto la proiezione in anteprima al Piccolo Teatro di Milano l’autore del documentario, Felice Cappa e il direttore del Teatro Piccolo, Claudio Longhi.

Jacques Lecoq, viaggio in Italia: il documentario

Una produzione preziosa di Rai Cultura, che parte dal ritrovamento nelle Teche Rai di tre pantomime inedite degli anni ’50: Folie Restaurant, Dogana Express e Fan Fan Bar. Registrate a Milano, nella storica sede di Corso Sempione, sono la testimonianza del legame profondo tra l’allora giovane Jacques Lecoq e l’Italia. Nel periodo italiano, infatti, Lecoq ha modo di intrecciare la sua strada con quella di Strehler e di Grassi, di Dario Fo e Franco Parenti, di Anna Magnani e Vittorio Gassman. Curiosa a tal proposito la lettera di Grassi a Silvio d’Amico, allora all’Accademia di Arte drammatica di Roma che oggi porta il suo nome, ripresa nel documentario. Qui, Grassi rimprovera a D’Amico di aver avvicinato Lecoq per cercare di soffiarlo alla neonata scuola di recitazione del Piccolo.

Nel corso del lungometraggio, infatti, si alternano ricostruzioni storiche a immagini d’archivio e testimonianze inedite in presa diretta. Tra queste, preziose quelle di Gianfranco De Bosio, Andrée Ruth Shammah, Adriana Asti e Nicoletta Ramorino.

La riscoperta del corpo e la maschera

Insegnante di ginnastica, giovane interprete della tradizionale arte del mimo francese, Lecoq contribuisce a far riscoprire al teatro italiano l’attenzione al corpo, al movimento, allo spazio. Lo scambio però è reciproco, sintomo del fermento non solo economico ma anche culturale di quegli anni. La Commedia dell’arte, che conosce a Padova, offre infatti a Lecoq terreno fertile di studio e di rappresentazione. Fondamentali risultano le figure di Gianfranco De Bosio e Amleto Sartori. A tal proposito, da citare il famoso Arlecchino servitore di due padroni con Filippo Moretti, anch’esso visibile in parte nel documentario. Da qui probabilmente l’intuizione nell’utilizzo della maschera.

La maschera, infatti, è uno strumento che accompagnerà Lecoq fino alla fine della sua carriera. Non solo come strumento rappresentativo, ma anche come elemento di studio e funzionale all’esplorazione del movimento. Ne è dimostrazione la successiva ripresa della maschera neutra ideata da Jacques Copeau, largamente utilizzata da Lecoq nella scuola parigina, tutt’ora attiva, da lui fondata.

Il documentario è una produzione originale Rai Cultura. Ne è autore Felice Cappa, produttore esecutivo Alessia Viscardi, curatrice Giulia Morelli.

Federico Demitry