lunedì, Aprile 21, 2025
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Governo in bilico sulla riforma del catasto

Giovedì scorso la maggioranza si è spaccata ancora in Commissione Finanze della Camera sul disegno di legge delega sulla riforma fiscale. L’articolo 6 del disegno di legge, atto a modernizzare le regole fiscali ormai vecchie di 50 anni, riguarda gli aggiornamenti in tema di patrimonio immobiliare. Gli obiettivi della riforma del catasto sono la revisione del sistema di rilevazione catastale degli immobili, ottenuta facendo un aggiornamento degli immobili non censiti o accatastati in maniera diversa rispetto alla reale consistenza o destinazione d’uso. Ciò fornirà all’Agenzia delle Entrate nuovi dati sugli immobili. Inoltre, si attribuirà all’unità immobiliare un valore patrimoniale sulla base del valore di mercato fino al 1° gennaio 2026.

Il presidente di commissione e relatore del testo della riforma fiscale, Luigi Marattin (IV), ha dichiarato che un aggiornamento della base imponibile dei tributi immobiliari nel 2026 non serve ad aumentare il gettito totale, già in linea con la media europea, ma serve a migliorare l’equità del prelievo immobiliare, che oggi probabilmente va a svantaggio dei piccoli negozianti e dei piccoli proprietari di case”.

Il governo si è impegnato a non far corrispondere a questo aggiornamento delle imposte un aumento immediato delle stesse. Infatti, questa operazione richiederà tempo e soprattutto l’applicazione di questa riforma potrà avvenire solo dal 2026 e solo se il governo del 2026 lo vorrà. Questo, infatti, è garantito dal comma 2a dell’articolo 6. Esso recita “prevedere che le informazioni rilevate secondo i principi di cui al presente comma non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali”. Ciò non è bastato ai partiti del centrodestra per votare a favore, ma ripercorriamo la diatriba in Commissione.

Cosa è accaduto in Commissione

La Lega propone un emendamento soppressivo dell’articolo 6. La sottosegretaria all’economia Maria Cecilia Guerra (Articolo 1 – MDP) minaccia quindi la caduta del governo nel caso in cui la maggioranza si fosse spaccata sul provvedimento. Forza Italia prova a mediare. A questo punto il centrodestra di governo (Lega, Forza Italia e Coraggio Italia) propone una riformulazione dell’articolo 6. Sembra quindi esserci un clima più disteso, ma in realtà la riformulazione toglie l’espressione “valori di mercato“, svuotando di fatto il contenuto della riforma del catasto. Dopo aver attestato la contrarietà del resto della maggioranza, la Lega punta di nuovo sull’emendamento soppressivo.

Il risultato finale è 22 favorevoli vs 23 contrari. L’emendamento è stato bocciato poiché Alessandro Colucci (Noi con l’Italia), presente in commissione in sostituzione del suo collega di componente Eugenio Sangregorio (USEI), si è staccato dalla coalizione del centrodestra votando a favore della riforma con M5S, PD, IV, Azione/+Europa, LeU. Hanno votato invece a favore dell’emendamento Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Coraggio Italia, Alternativa.

La riforma del catasto è quindi approvata in commissione. Ora l’iter continuerà in Aula, dove sicuramente il tema continuerà ad essere molto caldo nella maggioranza.

Paolo Abete

Giornata Mondiale del Linfedema, la storia di Anna

Ricorre oggi il LymphAday (Lymphedema Awareness Day), la Giornata Mondiale del Linfedema. Non si tratta di una patologia rara. In Italia ci sono circa 40.000 nuovi casi all’anno. Secondo il Policlinico Gemelli, tra il 20% e il 40% dei pazienti è stato affetto, in precedenza, da un tumore, in particolare alla mammella, di tipo ginecologico, urologico, melanoma e sarcoma. È molto importante conoscere questa patologia, visto anche l’elevato numero di pazienti che ne sono affetti in Italia. Ve la presentiamo pubblicando la storia di Anna Maisetti, che ci ha scritto raccontandoci la sua vita da quando, all’età di 22 anni, ha ricevuto la diagnosi di un cancro alla pelle. Abbiamo avuto un’interessante conversazione con Anna, che ci ha fatto entrare nel suo mondo, facendocelo comprendere.

Anna Maisetti ha 34 anni. La sua vita scorreva regolarmente, ricca di gioie, di preoccupazioni, di divertimento, di impegno. All’età di 22 anni, quello che in apparenza sembrava un banale neo ha cambiato per sempre la sua vita. “Si trattava di un melanoma. Quando l’ho scoperto, le cellule tumorali avevano raggiunto il linfonodo sentinella e il chirurgo ha ritenuto opportuno intervenire chirurgicamente. Purtroppo, dalla prima visita alla rimozione è passato un anno. Il dermatologo non ha percepito la gravità della situazione e quanto fosse urgente rimuovere il melanoma. Il cancro era in stato avanzato. Mi sono stati rimossi tutti i linfonodi dell’inguine. Dopo l’intervento, ho notato che la mia gamba destra era gonfia. Ho scoperto così di essere affetta da linfedema.

Il linfedema è una condizione cronica e invalidante. Nei soggetti colpiti, l’arto si gonfia in modo evolutivo. Al momento non esiste una cura totalmente risolutiva. La patologia, quindi, costringe chi ne soffre ad una gestione incessante della situazione clinica, tramite linfodrenaggi di tipo manuale, indossando compressioni, calze medicali, bendaggi, curando costantemente la pelle e praticando della ginnastica specifica.

@stile_compresso, la grande community internazionale dei pazienti con linfedema

Pur essendo una patologia riconosciuta come invalidante, al momento ad essa non è dato il giusto peso, la giusta “qualità” in termini di livello di invalidità. I pazienti hanno bisogno di essere seguiti da una equipe di professionisti e, in Italia, ve ne sono troppo poche. Il Servizio Sanitario Nazionale eroga delle prestazioni ma, anche in questo caso, non nelle giuste quantità e qualità. Molti pazienti, inoltre, hanno difficoltà nel ricevere una diagnosi corretta ed immediata.

Il linfedema è, in generale, ancora poco conosciuto e riconosciuto. Può colpire anche i bambini e la gestione di questi casi è naturalmente ancora più complessa. Attualmente troppi pazienti nel mondo sono senza diagnosi, non hanno professionisti di riferimento a cui rivolgersi, non hanno informazioni sufficienti sulle possibilità di autotrattamento o hanno difficoltà ad accedere alle cure necessarie per trattare questa condizione in maniera adeguata, evitando che degeneri.

Per questo, dopo 8 anni di buio e vergogna, senza conoscere nessuno nella mia stessa condizione, ho iniziato a condividere la mia storia. L’ho fatto su Instagram, creando pian piano una community internazionale. Sulla pagina @stile_compresso raccontiamo le nostre storie, ci diamo consigli, per esempio sull’abbigliamento per noi più confortevole. Può sembrare una banalità, ma se si pensa al fatto che il linfedema ci obbliga ad indossare delle scarpe di diverso numero, è facile immaginare che non lo sia. Raccontiamo i nostri percorsi diversi, ci supportiamo e motiviamo reciprocamente, condividendo la quotidianità che ci accomuna. La condivisione ci aiuta ogni giorno a non arrenderci, ad amare il nostro corpo, a prendercene cura. Nella speranza che grazie alla ricerca si trovi presto una soluzione per la guarigione totale.

Alberto Pizzolante

Anna Maisetti “ha scritto Il linfedema dopo il cancro” (Independently published)

Inquinamento, al via la campagna “A buon rendere”

A Buon Rendere – molto più di un vuoto è una campagna che punta a sensibilizzare i cittadini, la politica, l’industria delle bevande e della distribuzione organizzata sui benefici di un Sistema di Deposito. Facendo seguito all’appello del novembre scorso al governo Draghi e al ministro Cingolani per velocizzare l’introduzione di un efficace sistema di deposito, l’Associazione nazionale Comuni Virtuosi ha lanciato la campagna nazionale di sensibilizzazione A Buon Rendere – molto più di un vuoto. All’iniziativa hanno aderito A Sud Onlus, Altroconsumo, Greenpeace, Italia Nostra, Kyoto Club, LAV, Legambiente, Lipu-Bird Life Italia, Oxfam, Marevivo, Pro Natura, Retake, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, WWF e Zero Waste Italy.

Secondo una recente ricerca condotta da AstraRicerche, l’83% degli italiani sostiene l’introduzione di un Sistema di Deposito. Gli aderenti alla campagna chiedono l’introduzione di un Sistema di Deposito Cauzionale. Sulla scorta dei sistemi già operanti con successo in diversi Paesi UE, esso dovrà essere di portata nazionale e obbligatorio per i produttori. Inoltre, dovrà coprire tutte le tipologie di bevande in bottiglie di plastica, vetro e lattine. Secondo i promotori, un sistema del genere consentirebbe di proteggere il nostro ambiente, favorire la transizione verso l’economia circolare e raggiungere gli obiettivi europei in materia di raccolta selettiva e riciclo.

Uno strumento fondamentale per raggiungere gli obiettivi europei

Forte è la differenza tra i tassi di intercettazione delle bottiglie per bevande tra i paesi membri dell’Unione Europea. Nei Paesi in cui è attivo un Sistema di Deposito, il 94% delle bottiglie viene intercettato. Nei paesi senza un Sistema di Deposito, solo il 47% degli imballaggi per bevande è sottoposto a riciclo.

Secondo il WWF, “L’Italia ha bisogno di un Sistema di Deposito Cauzionale per raggiungere gli obiettivi di raccolta e riciclo europei. Il sistema è fondamentale anche per ridurre l’inquinamento dei suoi mari, delle sue campagne e delle sue città. La piccola somma aggiunta sul prezzo di vendita delle bevande sarà restituita nella sua totalità quando l’imballaggio sarà consegnato in un punto di raccolta. Questo ne garantisce il buon fine“. Sul sito della campagna si possono trovare approfondimenti sui Sistemi cauzionali in continuo aggiornamento come articoli, video e infografiche.

Approvata la legge sui reati contro il patrimonio culturale

Il Parlamento ha approvato, all’unanimità, la riforma delle disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale. La legge approvata ricalca il testo presentato nella scorsa legislatura dai ministri Franceschini e Orlando e inasprisce le pene per diversi reati, come previsto dalla Convenzione di Nicosia del Consiglio d’Europa recentemente ratificata dall’Italia.

La legge introduce nuovi reati, tra cui quello di furto di bene culturale. Per questo reato, le pene previste vanno da 2 a 6 anni di carcere. Incrementate le pene per ricettazione e riciclaggio legati all’arte, puniti rispettivamente con il carcere fino a 10 e fino a 14 anni. Previste delle aggravanti per le devastazioni e saccheggi quando questi colpiscono arte, paesaggio, musei, aree archeologiche. Saranno possibili arresti in flagranza, processi per direttissima e intercettazioni anche per i reati contro il patrimonio.

L’intervento legislativo colloca nel codice penal, e, con un titolo espressamente dedicato, gli illeciti penali attualmente ripartiti tra codice penale e codice dei beni culturali. Inoltre, innalzando le pene vigenti, dà attuazione ai principi costituzionali secondo i quali il patrimonio culturale e paesaggistico necessita di una tutela ulteriore rispetto a quella offerta alla proprietà privata. Viene infine consentita la possibilità di svolgere attività sotto copertura per contrastare il traffico illecito delle opere d’arte.

Una giornata storica, un grande passo avanti nella tutela e nella protezione del patrimonio culturale e nella lotta al traffico illecito di opere d’arte. Il Parlamento ha approvato definitivamente una legge attesa da anni che ribadisce la centralità della cultura nelle scelte politiche italiane, indipendentemente dagli schieramenti. Siamo una super potenza culturale e con questa legge stiamo indicando la strada, anche dando attuazione alla Convenzione di Nicosia“. Così il ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha commentato il voto del Parlamento.

Marco Damilano lascia la direzione dell’Espresso

Come comunicato dalla testata sul proprio sito internet, il giornalista Marco Damilano ha lasciato la direzione dell’Espresso. In una lettera ai lettori, Damilano ha comunicato di avere scritto una mail all’ingegnere John Elkann, presidente del gruppo Gedi, per comunicare la decisione di lasciare la direzione dell’Espresso, dopo quattro anni e mezzo. Lo ha fatto dopo aver appreso, su Twitter, che il gruppo proprietario della testata intende vendere la stessa. Una decisione non comunicata né al direttore Damilano né al Comitato di Direzione.

Mentre i giornali tradizionali perdono copie, lettori, peso politico, credibilità, fiducia, la categoria dei giornalisti fatica a parlarne – scrive Damilano – si attarda nella difesa di quote di mercato sempre più ridotte. Gli editori tendono a scaricare le colpe della crisi sui costi industriali della produzione. Il mondo imprenditoriale, intellettuale e politico non riesce a inquadrare il tramonto della stampa italiana all’interno di una questione più importante, perché tocca da vicino la tenuta delle istituzioni democratiche“.

Si pensa di risolvere la situazione rincorrendo le nuove opportunità offerte dal digitale – ha scritto il giornalista – come in altri parti del mondo. Anche in Italia ci sono imprese che stanno dimostrando di saper affrontare con successo le sfide della transizione. Ma non si può farlo immaginando di perdere la propria identità. L’anima, il carattere di una testata. È una scorciatoia che disorienta il pubblico e che prima o poi si dimostra illusoria“.

Le motivazioni

Spiegando nel merito le motivazioni della sua scelta, Marco Damilano spiega che “si vuole far pagare al solo Espresso l’assenza di strategia complessiva. Ho appreso della decisione di vendere L’Espresso da un tweet di un giornalista, due giorni fa, mercoledì pomeriggio. Ho chiesto immediati chiarimenti all’amministratore delegato Maurizio Scanavino, come ho sempre fatto in questi mesi. Mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata. Non mi sono mai nascosto le difficoltà. Ho più volte offerto la mia disponibilità in prima persona a trovare una soluzione per L’Espresso, anche esterna al gruppo Gedi, che offrisse la garanzia che questo patrimonio non fosse disperso. Ma le trattative sono proseguite senza condivisione di un percorso, fino ad arrivare a oggi, alla violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia.

“Il Paese rischia di diventare più fragile nella libertà di stampa”

La cessione dell’Espresso, in questo modo e in questo momento, rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano. È una decisione che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero e che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo. È una pagina di storia del giornalismo italiano che viene voltata senza misurarne le conseguenze. Di più: L’Espresso è un pezzo di storia dell’intero Paese. Un Paese che rischia di diventare ancora più fragile in una funzione essenziale, la libertà di stampa, l’autonomia del giornalismo dai poteri, il ruolo critico di controllo verso chi governa le strutture politiche, economiche, finanziarie.

[…] Mi è stata offerta la possibilità di restare, ringrazio, ma non posso accettare per elementari ragioni di dignità personale e professionale. Non è una questione privata, spero che tutto questo serva almeno a garantire all’Espresso un futuro e ad aprire un dibattito serio sul ruolo dell’informazione nel nostro Paese. Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona. Lo faccio io. Lo devo al mestiere che amo, il giornalismo. E soprattutto lo devo alla mia coscienza.

La nota del Comitato di Redazione

La redazione dell’Espresso condivide pienamente le motivazioni delle dimissioni del direttore Marco Damilano, a cui esprime la sua totale solidarietà e che ringrazia per questi quattro anni insieme. Esponendosi in prima persona, Marco Damilano ha dato risalto a una ‘decisione scellerata’ che impoverisce il gruppo Gedi e l’intero panorama dell’informazione italiana. Recidere L’Espresso, la radice da cui è nato questo gruppo editoriale, mette a rischio la tenuta di tutta l’azienda. […] Noi giornalisti continueremo a difendere l’identità, l’anima e il ruolo civile, politico e culturale della nostra testata. Per questo la redazione è da oggi in stato di agitazione, e proclamerà le giornate di sciopero necessarie per impedire l’uscita del numero dell’Espresso attualmente in lavorazione.

La minaccia nucleare sulla guerra in Ucraina

Mentre continuano incessantemente i combattimenti in Ucraina, aumenta la paura di una catastrofe nucleare. Questa notte, si sono verificati intensi combattimenti nella centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. Domenica 27 febbraio, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha ordinato al comando militare di mettere in allerta le forze di deterrenza nucleare in ottica difensiva. Nella stessa giornata, si è svolto un importante referendum costituzionale in Bielorussia, Paese alleato della Russia. Tra le modifiche, approvate dal 65% dei votanti, vi è l’eliminazione dell’obbligo, per il Paese, di rimanere “zona denuclearizzata”. Il nuovo articolo costituzionale impedisce un'”aggressione militare dal territorio” della Bielorussia ma, come ha spiegato il presidente bielorusso Lukashenko, Minsk potrà schierare delle armi nucleari sul proprio territorio.

La Bielorussia non possiede un proprio arsenale nucleare. Le nuove modifiche, comunque, aprono la porta all’ingresso di armi nucleari russe. Questo avverrà sicuramente se Polonia o Lituania dovessero ospitare delle armi nucleari francesi o statunitensi, ha fatto sapere il presidente Lukashenko. Nel luglio 2020, Vladimir Putin ha approvato un documento che specifica i casi in cui la Federazione Russa può utilizzare l’apparato nucleare. Le armi atomiche possono essere utilizzare in caso di attacco con armi di distruzione di massa o di un attacco alle infrastrutture nevralgiche della Russia che limiterebbe la capacità di risposta nucleare del Paese, se si hanno informazioni affidabili circa il lancio di missili balistici contro il territorio russo o dei suoi alleati, in caso di pericolo per l’esistenza stessa dello Stato.

La capacità nucleare russa

Secondo la Federation of American scientists, la Russia ha a disposizione 4.477 testate nucleari. Tra queste, 2.889 sono custodite nei depositi, 1.588 sono montate sui vettori e pronte ad essere utilizzate immediatamente, 1.500 sono in via di smantellamento. L’unico trattato nucleare esistente tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America è il New Strategic Arms Reduction Treaty, in vigore fino a febbraio 2026. Il trattato obbliga i due Stati ad avere un massimo di 1.550 testate e bombe nucleari e un massimo di 700 vettori nucleari. Quindi, gli obblighi riguardano solo le armi strategiche e non si applicano alle armi con gittata inferiore i 5.500 chilometri.

Alberto Pizzolante

Russia: arrestata Yelena Osipova, un’attivista di 77 anni

La polizia russa ha arrestato Yelena Osipova, una donna di 77 anni sopravvissuta all’assedio nazista di Leningrado. L’arresto è avvenuto mentre la donna partecipava ad una manifestazione di protesta contro la guerra in Ucraina. La donna aveva due cartelli in mano e urlava “No alla guerra”. Su un cartello, la signora aveva scritto: “Soldato, lascia cadere la tua arma e sarai un eroe“. Yelena Osipova è molto conosciuta in Russia, per via della sua storia.

Centinaia di manifestanti sono scesi nelle piazze russe per dire di no all’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin. Nelle scorse ore, il leader d’opposizione russo Alexei Navalny, dal carcere dove è rinchiuso, ha invitato tutti i russi a scendere in piazza per manifestare il proprio dissenso a questa guerra. Sia a Mosca, sia a San Pietroburgo la polizia ha fermato decine tra le centinaia di manifestanti.

Non potevo stare a casa. Questa guerra deve essere fermata“, ha riferito un manifestante 21enne. Secondo il gruppo di monitoraggio indipendente OVD-Info oltre 7.000 persone in totale in Russia sono state detenute durante le manifestazioni sull’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, iniziate giovedì scorso. Inoltre, in questi giorni la Duma, il parlamento russo, sta discutendo modifiche al codice penale. Queste consentiranno la reclusione fino a 15 anni per “false informazioni” sulle attività dell’esercito russo. In caso di approvazione della legge, secondo OVD-Info le persone saranno perseguite penalmente per qualsiasi informazione sulla guerra in Ucraina che non dovesse corrispondere alla posizione ufficiale dello Stato russo.

Ucraina, attaccata la più grande centrale nucleare europea

L’esercito russo ha preso il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia, nella città di Enerhodar, sulle sponde del bacino idrico di Kachovka sul fiume Dnepr. Si tratta della più grande centrale nucleare d’Europa, la quinta più grande del mondo. L’impianto genera all’incirca la metà dell’elettricità prodotta dall’Ucraina da fonte nucleare e oltre un quinto dell’elettricità totale che produce lo Stato. La produzione annua è di 40-42 miliardi di kWh.

Nella notte, le forze armate russe hanno bersagliato la centrale con tiri d’artiglieria e di mitragliatrici pesanti “da tutte le parti”. I combattimenti hanno generato un incendio nel centro di addestramento della centrale, non lontano dai reattori. L’area colpita dall’incendio è di circa 2000 metri quadri. In un primo momento, i vigili del fuoco non sono riusciti ad accedere alla centrale perché “sotto tiro” da parte delle forze russe. Le fiamme non hanno colpito strutture essenziali. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA)non ha rilevato cambiamenti nei livelli di radiazioni.

L’attacco è durato circa due ore. Terminati gli scontri, i vigili del fuoco hanno potuto quindi raggiungere l’impianto e sono riusciti a spegnere l’incendio. L’AIEA ha dichiarato che “le attrezzature essenziali della centrale colpita non sono state compromesse dall’incendio“. L’autorità ucraina per l’energia nucleare ha spiegato che “Il territorio della centrale elettrica nucleare di Zaporozhye è occupato dalle forze armate della Federazione Russa. Al momento, non sono stati registrati mutamenti nei livelli delle radiazioni. Si registra qualche danno alle strutture circostanti l’unità del reattore del blocco energetico numero uno, che non colpiscono la sicurezza del blocco energetico. I sistemi e gli elementi rilevanti per la sicurezza della centrale nucleare sono operativi. Quindi, il personale della centrale sta continuando a lavorare, il reattore più vicino al luogo dell’incendio è operativo e la fornitura di energia elettrica sta continuando nel rispetto dei normali standard di sicurezza“.

Le reazioni all’attacco alla centrale nucleare

Il presidente ucraino Zelensky ha accusato Putin di usare come arma il “terrore nucleare”, colpendo, come nessuno aveva mai osato fare nella storia dell’umanità, una centrale atomica. Se fosse esplosa, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, sarebbe stato “dieci volte peggio di Chernobyl”. il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha accusato Vladimir Putin di mettere in pericolo l’intera Europa e ha chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. “L’attacco russo coinvolge la più grande centrale nucleare d’Europa. Siamo di fronte a una guerra senza limiti che minaccia la sicurezza di tutti“, ha scritto su twitter il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni.

Il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Rafael Grossi, ha scritto sui social: “Ho parlato con il primo ministro Denys Shymgal. L’Aiea sta monitorando ed è in stretto contatto con l’operatore e l’autorità nucleare ucraina. Chiedo alle parti di astenersi da azioni che possano mettere la centrale in pericolo“.

La corte penale internazionale indaga su presunti crimini di guerra

La Corte penale internazionale ha annunciato che 39 Stati membri hanno presentato un referral, cioè una segnalazione di crimini al Procuratore, sulla situazione Ucraina. Gli Stati hanno chiesto alla Corte dell’Aia di indagare i crimini internazionali commessi nell’ambito del conflitto. Hanno sottoscritto il referral tutti gli i Paesi dell’Unione Europea e da Australia, Canada, Colombia, Costa Rica, Georgia, Islanda, Lichtenstein, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera, Regno Unito e Irlanda.

Il procuratore della corte de L’Aia già il 28 febbraio aveva annunciato la sua decisone di avviare delle indagini in Ucraina. Gli Stati firmatari hanno “deciso di riferire la Situazione in Ucraina al Procuratore della Corte penale internazionale al fine di richiedere al Procuratore di indagare ogni atto integrante crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, potenzialmente commessi sul territorio dell’Ucraina dal 21 novembre 2013 in avanti, incluse le attuali denunce di commissione di crimini in corso su tutto il territorio ucraino, con ciò chiedendo alla Corte di esercitare la sua giurisdizione rispetto all’ambito di accettazione [di giurisdizione della Corte] da parte dell’Ucraina“.

L’Ucraina non è uno Stato aderente alla Corte, quindi dovrà scegliere se accettarne o meno la giurisdizione. Il procuratore ha specificato che l’indagine riguarderà tutti gli atti commessi in Ucraina dal 21 novembre 2013. Quindi, l’indagine analizzerà “tutte le accuse passate e presenti di crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio commessi in qualsiasi parte del territorio dell’Ucraina da qualsiasi persona“.

Un’indagine anche dalla Corte internazionale di Giustizia

Anche la Corte internazionale di Giustizia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, sta indagando su quanto è accaduto e sta accadendo in Ucraina. Il 7 e l’8 marzo si terranno udienze pubbliche sul “caso relativo alle accuse di genocidio. Questo ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio“. L’Ucraina ha presentato una richiesta di indagine sull’operato russo. Secondo Kiev, la Russia ha “falsamente affermato che si sono verificati atti di genocidio” nelle regioni separatiste di Luhansk e Donetsk. Questa falsa affermazione è successivamente stata usata da Mosca come pretesto per invadere il territorio ucraino.

Un appello per proclamare Kiev “Città aperta”

In queste ore drammatiche per la capitale dell’Ucraina, Andrea Riccardi e la Comunità di Sant’Egidio hanno lanciato la proposta di giungere ad un immediato cessate il fuoco e di proclamare con urgenza Kiev “città aperta”. L’appello, che può essere sottoscritto sul sito della Comunità, è stato consegnato al presidente russo Putin e al presidente ucraino Zelensky, attraverso le rispettive ambasciate.

Il contenuto dell’appello

Kiev, una capitale di tre milioni di abitanti, in Europa, è oggi un campo di battaglia.
La popolazione civile, inerme, vive in una condizione di pericolo, terrore, mentre trova riparo nei rifugi sotterranei. I più deboli, dagli anziani ai bambini, ai senza dimora, sono ancora più esposti. Ci sono già le prime vittime civili.

Kiev è una città che rappresenta un grande patrimonio culturale. Non si può pensare alla cultura europea, alla storia dell’Europa senza Kiev, così come non si può pensare alla cultura russa, alla storia della Russia, senza Kiev. La città, tra tanti monumenti, ospita siti che sono patrimonio dell’umanità.

Kiev è una città santuario per tanti cristiani, in primo luogo per i cristiani ortodossi del mondo intero. A Kiev ha avuto inizio la storia di fede dei popoli ucraino, bielorusso, russo. A Kiev è nato il monachesimo ucraino e russo. Il grande monastero della lavra delle grotte che sulla collina sovrasta il grande fiume Dnepr è un luogo santo di pellegrinaggio e preghiera millenario. Kiev è una città preziosa per tutto il mondo cristiano.

Il destino di Kiev non lascia indifferente chi, da oriente e da occidente, guarda con passione e coinvolgimento alla città e alla sua gente. Dopo Sarajevo, dopo Aleppo, non possiamo assistere nuovamente all’assedio di una grande città. Gli abitanti di Kiev chiedono un sussulto di umanità. Il suo patrimonio culturale non può essere esposto al rischio di distruzione. La santità di Kiev per il mondo cristiano esige rispetto.

Imploriamo chi può decidere di astenersi dall’uso delle armi a Kiev, di dichiarare il cessate il fuoco nella città, di proclamare Kiev “città aperta”, di non colpire i suoi abitanti con la violenza delle armi, di non violare una città a cui oggi guarda l’umanità intera. Possa accompagnare questa scelta la ripresa di un percorso negoziale per arrivare alla pace in Ucraina.