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Ucraina, più di 10 milioni di sfollati in un mese

Pubblichiamo le dichiarazioni di Karolina Lindholm Billing, rappresentante dell’UNHCR in Ucraina, rese durante la conferenza stampa di venerdì 25 marzo al Palazzo delle Nazioni a Ginevra. Il crescente numero di sfollati è molto preoccupante.

Nel corso dell’ultimo mese per l’Ucraina è cambiato tutto. Solo due settimane prima della guerra, ho trascorso sette giorni nell’est dell’Ucraina per inaugurare e visitare centri per bambini disabili e anziani ad Avdijka e Popasna. Questi centri ormai sono probabilmente in macerie, come molte altre case private e strutture sociali che i partner dei progetti umanitari e di sviluppo hanno contribuito a costruire e ristrutturare negli ultimi otto anni, in collaborazione con le autorità locali e le comunità dell’Ucraina orientale. L’ultimo mese ha cancellato questi progressi e ci ha riportato più indietro di quanto eravamo otto anni fa. Oggi ci troviamo davanti alla realtà di un’enorme crisi umanitaria le cui dimensioni aumentano di minuto in minuto.

La gravità della situazione non sarà mai sottolineata abbastanza. Dal giorno alla notte, molte vite sono state distrutte e molte famiglie sono state separate. In un mese più di 10 milioni di persone sono state costrette a fuggire per salvarsi, lasciando le loro case e le loro proprietà. Oltre 6,5 milioni di persone sono sfollate all’interno dell’Ucraina e 3,7 milioni sono stati costretti ad abbandonare il paese. Questi numeri aumentano ogni giorno. Si stima che circa 13 milioni di persone siano bloccate nelle aree colpite, o siano impossibilitate ad andarsene a causa del rischio elevato per la loro sicurezza, della distruzione di ponti e strade e della mancanza di risorse o informazioni su dove trovare un alloggio e condizioni di sicurezza.

L’impegno dell’UNHCR

Oggi milioni di persone in Ucraina vivono costantemente nel terrore. Bombardamenti e attacchi missilistici indiscriminati costringono la popolazione a rifugiarsi nei sotterranei per ore, di giorno e di notte. Questo vale anche per i colleghi dell’UNHCR in Ucraina, che ora lavorano fuori dagli uffici di Dnipro e Vinnytsia, Uzhgorod, Chernivtsi e Leopoli, oltre che nelle aree del Donetsk e del Luhansk non controllate dal governo. La loro dedizione nell’aiutare altri sfollati è di grande ispirazione. All’interno del paese abbiamo 154 colleghi, molti dei quali dislocati per  l’emergenza, e il numero continua ad aumentare per rafforzare la nostra capacità di intervento.

Concentriamo i nostri sforzi nell’ambito della protezione, del rifugio e dell’assistenza finanziaria e in natura, per fornire sollievo immediato a coloro che fuggono dalla guerra. Aiutiamo le persone sfollate a ritrovare stabilità in un luogo più sicuro, intanto che la situazione rimane fluida e il futuro imprevedibile. Più di 1000 famiglie in località coinvolte nei combattimenti hanno ricevuto kit per alloggi di emergenza, in modo da poter riparare le case danneggiate e proteggersi dalle intemperie. I centri di accoglienza al centro e dell’ovest dell’Ucraina hanno ricevuto attrezzature per poter aumentare la loro capacità di accoglienza degli sfollati interni. Almeno 85.000 persone potranno trovare una sistemazione temporanea grazie a questo sostegno.

Solo questa settimana l’UNHCR ha consegnato 20.000 pacchi di beni non alimentari agli individui colpiti dai combattimenti e ai centri di accoglienza. Naturalmente ciò non basta a soddisfare tutte le necessità, ma cogliamo ogni opportunità per raggiungere chi ha bisogno della nostra assistenza. Insieme alle autorità locali nei luoghi di arrivo degli sfollati interni, stiamo identificando edifici da ristrutturare e destinare all’accoglienza collettiva, vista l’enorme domanda.

“Gli effetti della guerra sono devastanti e di portata vastissima”

Non si tratta solo di fornire una sistemazione immediata: è evidente che centinaia di migliaia, se non milioni di sfollati interni avranno bisogno di alloggi nel medio e lungo periodo. Abbiamo iniziato il nostro programma di assistenza finanziaria multifunzione nelle province di Leopoli e Zakharpatia, e finora abbiamo iscritto migliaia di persone. Nei prossimi giorni sono previste iscrizioni in altre sei province dell’Ucraina centrale e orientale. Complessivamente il nostro obiettivo è di raggiungere almeno 360.000 sfollati per aiutarli a soddisfare le loro necessità di base. Allo stesso tempo continuiamo a lavorare per raggiungere le zone più colpite come Mariupol e Kharkiv per dare assistenza salva-vita, come parte dei convogli umanitari interagenzia.

Tuttavia è chiaro che individui, famiglie e comunità avranno bisogno di protezione, alloggio, assistenza e accesso ai servizi di base quali la sanità, l’istruzione e la protezione sociale per anni, se non per decenni. Gli effetti di questa guerra sono devastanti e di portata vastissima. La forma più efficace di soccorso umanitario sarebbe la cessazione della guerra. Nel frattempo dobbiamo continuare a fare tutto il possibile per assistere le persone colpite.

Lo Bianco nominato ambasciatore per l’Anno europeo dei giovani

Giovedì 24 marzo, nell’auditorium dell’Ara Pacis a Roma, si è svolta la cerimonia di lancio dell’Anno europeo dei giovani. Alla cerimonia hanno partecipato la Ministra per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone, la Commissaria Europea con delega alla gioventù Marija Gabriel e il Sindaco di Tirana, Capitale europea dei giovani 2022, Erion Veliaj. Il Dipartimento per le politiche giovanili, il Servizio Civile Universale e l’Agenzia Nazionale per i Giovani hanno voluto costituire l’Ambassador Network dell’Anno Europeo. Esso è composto da 40 giovani, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Gli Ambasciatori sono stati selezionati sulla base della loro conoscenza dell’Europa e delle sue Istituzioni e del loro impegno territoriale in iniziative e progetti di partecipazione attiva e cittadinanza europea, di digital, di green, di inclusione.

Tra gli ambasciatori vi è Anthony Lo Bianco, presidente dell’Associazione Valentia, editrice di LikeQuotidiano.it. Lo Bianco ha commentato la nomina con le seguenti parole. “Insicurezza, sfiducia e paura del futuro sono i sentimenti con cui confrontarsi sotto la pioggia continua di notizie e immagini di un mondo senza tregua. Dai mezzi dell’Esercito a Bergamo con le vittime del Covid, alle bombe che disintegrano case e vite, occorre aiutare i ragazzi a comprendere cosa gli accade intorno. Noi giovani ci troviamo oggi di fronte ad una crisi che ha aumentato pesantemente l’incertezza del nostro futuro. Il 2022 è l’Anno Europeo dei Giovani, 365 giorni che la Commissione Europea dedicherà a programmi, strategie ed eventi per il nostro presente e futuro.

L’obiettivo dell’Europa è quello di costruire un futuro più verde, più inclusivo e più digitale. In una parola: migliore. Facciamolo tutti insieme, per dare una prospettiva europea al nostro territorio“. La redazione di LikeQuotidiano.it si congratula con Anthony per il prestigioso e meritato incarico ricevuto.

redazione@likequotidiano.it

Tigray, bloccati gli aiuti nonostante la tregua umanitaria

Venerdì 25 marzo il governo dell’Etiopia ha dichiarato una tregua umanitaria a tempo indeterminato con effetto immediato nella regione settentrionale del Tigray. Secondo il Governo, la tregua umanitaria avrebbe consentito “il libero flusso di aiuti umanitari a coloro che necessitano di assistenza“. Il Presidente etiope Abiy Ahmed ha dichiarato che la tregua avrebbe permesso l’attuazione di “misure straordinarie per salvare vite umane. L’impegno preso dal governo etiope può avere l’effetto desiderato solo se l’altra parte farà lo stesso. I ribelli tigrini dovranno astenersi da ogni nuovo atto di aggressione e ritirarsi dalle aree che occupano nelle regioni limitrofe di Amara e Afar“. Il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray ha accettato la tregua, chiedendo l’invio immediato di aiuti umanitari.

Tuttavia, gli accordi non sono stati rispettati. L’Ufficio Affari esteri del Tigray ripercorre quanto accaduto negli ultimi giorni. “Il regime di Abiy ha annunciato, con grande fanfara, quella che ha chiamato una ‘tregua umanitaria’ per facilitare il flusso di aiuti al Tigray. Il governo del Tigray ha espresso un cauto ottimismo su questo annuncio, sperando che il popolo iniziasse così a ricevere l’assistenza umanitaria di cui ha bisogno. Ora sono passati 2 giorni dall’annuncio di questa tregua, ma nessun aiuto è giunto in Tigray finora“.

“Il regime impedisce la consegna degli aiuti”

Anche se speriamo che le autorità rompano la ‘tradizione’ e onorino le loro promesse, non abbiamo visto alcun segno incoraggiante che stiano per farlo. Infatti, il regime continua a spacciare la narrazione fittizia che il governo del Tigray sta bloccando la consegna degli aiuti. I funzionari del regime hanno affermato, in maniera infondata, che poiché il movimento dei convogli umanitari via terra è limitato a causa delle azioni delle forze del Tigray, il regime ha facilitato la consegna degli aiuti per via aerea. Il regime di Abiy insieme ai suoi intermediari locali nella regione di Afar è sempre stato colpevole dell’ostruzione della consegna degli aiuti umanitari nel Tigray via terra. Inoltre, non ci sono stati ulteriori aiuti alimentari consegnati per via aerea.

Va notato che il Tigray ha bisogno di almeno 700 camion di rifornimenti alla settimana. Se il regime fosse così attento a facilitare l’accesso umanitario in Tigray come lo è nel far circolare narrazioni fallaci, la crisi umanitaria non sarebbe così catastrofica come è ora. Noi continueremo a mantenere una vaga fiducia che le autorità rispetteranno la loro parte dell’accordo. Questa fiducia è coerente con la nostra posizione di principio di dare una possibilità alla pace. Da parte sua, il governo del Tigray rimane impegnato a svolgere un ruolo costruttivo nel consentire agli aiuti di raggiungere milioni di tigrini e le persone che hanno un disperato bisogno di assistenza umanitaria nelle regioni vicine“.

Alberto Pizzolante

Decameron: Cordella dirige “una storia vera”

Nel Decameron portato in scena al Teatro Leonardo di Milano da Stefano Cordella, sei personaggi reinterpretano il classico di Giovanni Boccaccio. Questo Decameron però, come recita il titolo, non è una riproposizione di storie passate, ma “una storia vera”. La drammaturgia è quindi originale, a firma Filippo Renda, e di Boccaccio rimane solo l’essenziale: la cornice, il meccanismo narrativo, la catastrofe fuori dalla porta, l’attesa della fine; con un’eccitazione che mischia la speranza taciuta che la fine del mondo riguardi tutti tranne noi, quella convulsa che la catastrofe arrivi davvero, quella impossibile di una palingenesi. 

Decameron – Una storia vera

Sullo sfondo c’è dunque lo spettro dell’imminente estinzione della razza umana. Se prima per una guerra mondiale, per una moderna peste o per il collasso climatico, dato il momento storico, deciderà chi lo vedrà. Certo è che tutti questi spunti sono presenti in questo Decameron, il cui testo assume spesso le esagerazioni e i cortocircuiti della migliore distopia; quella cioè che è assurda eppure credibile. A tal proposito, sicuramente il merito va anche agli attori, che sfoggiano qualità vocali e fisiche tra loro molto diverse, ma mai disarmoniche; convincendo singolarmente e insieme, in uno spettacolo che alterna comicità e dramma, fragilità e concitazione, e in cui in definitiva tout se tient.

Strutturalmente la pièce è divisa in 10 capitoli che includono l’inizio, la fine, e le storie messe in scena a turno dai personaggi. Storie contemporanee di nevrosi, di ricerche spirituali, di rapporti umani, di pattume mediatico; o futuristiche di intelligenze artificiali. Lo spettatore è guidato da un capitolo all’altro dai titoli che appaiono in digitale a fondo scena e segnalano l’inizio di un nuovo momento.

La scenografia è talmente minima da sembrare residuale e si affida a sparuti oggetti di scena e all’impiego massiccio degli impianti audio e luci. Particolare a tal proposito è l’espediente delle telecamere, che riproducono dettagli o diverse angolazioni di quanto accade, proiettando una straniante scena nella scena. Si crea così a volte l’impressione che l’attore non sia realmente il re del palco, ma che siano gli impianti, le distorsioni e i rendering digitali a farla da padrone. In questo Decameron c’è quindi forse il sospetto che nella nostra realtà esista una sproporzione tra la dimensione raccolta e limitata dell’essere umano e la potenza asettica, pervasiva e ingombrante della tecnica. 

Infine, lo spettatore potrà avere la sensazione di uscire da teatro in fermento e con molte domande. Un po’ come quando di giorno si vive a mille all’ora e di notte ci si interroga sui momenti vissuti, sulle reazioni, sulle sensazioni. Questo Decameron, infatti, è l’esempio di un modo di fare teatro anti-elitario, che non rimane chiuso in se stesso, ma che cerca in tutti i modi di comunicare a tutto corpo con il suo pubblico. Uno spettacolo, dunque, indubbiamente da vedere, anzi, da provare. 

Decameron – Una storia vera

progetto e regia Stefano Cordella

drammaturgia Filippo Renda

con Salvatore Aronica, Sebastiano Bottari, Martina Lovece, Greta Milani, Filippo Renda, Daniele Turconi

Federico Demitry

Tigray, uccisi tre dipendenti di MSF dall’esercito etiope

Nel giugno 2021, in Tigray l’esercito etiope stava subendo una serie di perdite decisive sul campo di battaglia. In quei giorni nella regione furono uccisi tre dipendenti di Medici senza Frontiere. Il governo del Tigray da subito aveva individuato gli assassini nelle forze di invasione. Ora è chiaro che i membri dell’esercito Etiope hanno ucciso Maria Hernandez, Yohannes Halefom e Tedros Gebremariam. Un meticoloso rapporto investigativo di Simon Marks e Declan Walsh del New York Times, pubblicato il 17 Marzo, fornisce un resoconto approfondito dell’omicidio. Il livello dei dettagli fattuali e le prove corroboranti fornite dai comandanti dell’esercito dell’Etiopia di medio livello catturati non lasciano dubbi sulla colpevolezza dell’esercito etiope.

L’accaduto

L’omicidio dei tre dipendenti di Medici Senza Frontiere è avvenuto in seguito a un ordine diretto di un alto ufficiale comandante della trentunesima Divisione di fanteria della Forza di difesa nazionale etiope. “È un fatto ben documentato della guerra nel Tigray che gli eserciti etiope ed eritreo insieme alle forze di etnia Amhara hanno commesso atrocità indicibili contro il popolo del Tigray“, ha dichiarato l’Ufficio Affari Esteri del Tigray. “Innumerevoli tigrini sono stati vittime di efferati omicidi extragiudiziali. Anche gli operatori umanitari che aiutano i bisognosi hanno subito la portata omicida di queste forze d’invasione. Il fatto che questi coraggiosi operatori umanitari siano stati uccisi mentre si occupavano dei feriti rende il loro brutale omicidio particolarmente toccante.

Questo omicidio feroce è anche coerente con la violazione di routine del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani da parte delle forze di invasione. Infatti, l’esercito è intervenuto nonostante le e tre vittime possedessero chiari segni di identificazione del loro status di operatori umanitari. Questi segni avrebbero dovuto garantire la loro protezione secondo il diritto internazionale. Tuttavia, l’esercito Etiope non ha fatto alcun tentativo di determinare il motivo della loro presenza nella zona prima di usare la forza letale“.

“Intervenga la comunità internazionale”

Questo orribile omicidio incapsula senza dubbio la portata del disprezzo sfacciato dei nostri avversari per le regole e le norme di base che governano la condotta della guerra“, continua la nota dell’Ufficio Affari esteri del Tigray. “Come abbiamo ripetutamente chiarito, siamo pronti a collaborare con la Commissione Internazionale di esperti di diritti umani sull’Etiopia, recentemente creata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Chiediamo inoltre alla comunità internazionale di esigere che il regime di Abiy accetti la legittimità e il mandato della Commissione ed estenda la necessaria cooperazione ai membri della Commissione.

Il popolo e il governo del Tigray sono grati a tutti gli operatori umanitari che rischiano la loro vita per alleviare la sofferenza umana. MSF ha fornito servizi inestimabili in tutto il Tigray prima di essere costretta dal regime di Abiy a sospendere le sue operazioni. Chiediamo al regime di astenersi dall’ostacolare le operazioni umanitarie e di permettere alle agenzie umanitarie di operare liberamente, imparzialmente e indipendentemente ovunque i loro servizi siano necessari. Da parte sua, il governo del Tigrai continuerà a facilitare le operazioni umanitarie estendendo la cooperazione necessaria a tutti i partner che operano nel Tigray“.

Alberto Pizzolante

Stabile la spesa per l’acqua, aumentano le estrazioni di acque minerali

Rispetto al 2019, nel 2020 rimane sostanzialmente invariata la spesa per la fornitura di acqua nell’abitazione e per l’acquisto di acque minerali. Secondo l’Istat, le famiglie hanno speso in media 14,68 euro al mese per la fornitura di acqua nell’abitazione nel 2020, pari allo 0,6% della spesa complessiva per il consumo di beni e servizi. La spesa mensile delle famiglie risulta superiore alla media nazionale nel Mezzogiorno (17,48 euro) e al Centro (16,50 euro), inferiore al Nord (12,05 euro). Nello stesso anno, la spesa mensile sostenuta dalle famiglie per l’acquisto di acqua minerale è di 12,56 euro (-0,1% rispetto all’anno precedente) e pari a circa due euro in meno rispetto alla spesa sostenuta per la fornitura di acqua.

Dal 2015, la spesa familiare per acqua minerale cresce a un ritmo superiore rispetto a quella effettuata per la fornitura di acqua nelle abitazioni (+22,3% contro +9,6%). Nel 2021, in due terzi delle famiglie (66,7%) almeno uno dei componenti ha consumato quotidianamente almeno un litro di acqua minerale, dato in crescita rispetto agli ultimi anni. Il consumo di acqua minerale più alto si registra nelle Isole (69,7%), quello minore al Sud (63,3%).

La fiducia nel bere acqua dal rubinetto

Le famiglie che dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua di rubinetto sono il 28,5%. Il dato è stabile rispetto al 2020, sebbene tale quota sia diminuita progressivamente nel tempo (40,1% nel 2002). Permangono notevoli differenze territoriali: dal 16,8% nel Nord-est al 57,2% nelle Isole. A livello regionale, le percentuali più alte si riscontrano in Sicilia (59,9%), Sardegna (49,5%) e Calabria (38,2%), le più basse nelle Province autonome di Bolzano-Bozen (0,8%) e Trento (2,4%). Molto inferiori alla media nazionale anche le quote di Valle d’Aosta (8,6%) e Friuli-Venezia Giulia (11,6%).

L’estrazione di acque minerali naturali

Nel 2019 prosegue la tendenza all’aumento dei prelievi di acque minerali naturali nel Paese, in atto da alcuni anni. Le estrazioni complessive di acque minerali a fini di produzione dai siti autorizzati nel territorio superano i 19 milioni di metri cubi, con un incremento del 17,6% rispetto al 2015 e del 9,3% rispetto al 2018 (+1,6 milioni di metri cubi estratti). Le maggiori estrazioni interessano soprattutto il Nord (con 1 milione di metri cubi aggiuntivi) e il Mezzogiorno (+638mila metri cubi). In controtendenza il Centro, che segna una flessione dell’1,4% (-44mila metri cubi estratti).

Sono 162 i Comuni che nel 2019 hanno avuto nel loro territorio almeno un sito attivo. Nel 2019, i prelievi di acque minerali si concentrano per oltre la metà al Nord, con quasi 10,3 milioni di metri cubi, pari al 54,3% del totale nazionale, seguito dal Sud (23,4%). L’indicatore Intensità di estrazione (IE), dato dal rapporto fra i volumi estratti e la relativa superficie territoriale, nel 2019 ha mostrato un aumento a livello nazionale, raggiungendo i 63 metri cubi estratti per chilometro quadrato. Un valore dell’IE doppio rispetto a quello nazionale si registra nel Nord-ovest (127 metri cubi/km2), a causa dell’elevata intensità di estrazione in Lombardia e Piemonte. Il valore dell’Indicatore IE segna il suo minimo nelle Isole, con 22 metri cubi/km2.

Acqua, continua il razionamento. Inadeguata la rete fognaria

Nel 2020, undici comuni capoluogo di provincia, localizzati tutti nel Mezzogiorno, hanno fatto ricorso a misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile. Secondo l’Istat, la causa è da individuare nella forte obsolescenza dell’infrastruttura idrica e nei sempre più frequenti episodi di riduzione della portata delle fonti di approvvigionamento. Rispetto al 2019 il numero di Comuni interessati da misure di razionamento è aumentato di due unità. Misure di razionamento sono state adottate in quasi tutti i capoluoghi della Sicilia (tranne a Messina e Siracusa), in due della Calabria (Reggio di Calabria e Cosenza), in un capoluogo abruzzese (Pescara) e in uno campano (Avellino).

Le misure di razionamento più restrittive

In quattro capoluoghi le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile hanno riguardato tutto il territorio comunale. A Enna l’erogazione dell’acqua è stata sia sospesa che ridotta per 32 giorni. Pescara ha visto una riduzione del servizio solo in alcune ore della giornata, specialmente nelle ore notturne o nelle prime ore mattutine per 74 giorni. A Cosenza e a Reggio di Calabria le misure sono state adottate per fascia oraria e a giorni alterni, rispettivamente per 366 e 77 giorni. L’adozione di misure di razionamento solo per una parte del territorio comunale ha coinvolto sette capoluoghi di provincia (a parte Avellino, tutti situati in Sicilia). Si registrano due casi in più rispetto all’anno precedente. Le misure restrittive hanno interessato circa 227mila residenti.

I servizi di depurazione

Nei 21 Comuni capoluogo di Regione e Provincia autonoma, nei quali vivono 9,7 milioni di abitanti, il 94,7% della popolazione residente risulta allacciata alla rete fognaria pubblica. Il servizio pubblico di fognatura è assente per 514mila residenti nei capoluoghi. In questi casi, le acque reflue urbane sono convogliate generalmente verso sistemi autonomi di smaltimento, quali ad esempio vasche private. La presenza del servizio di depurazione è maggiore nei capoluoghi di regione del Nord (98,2%), si riduce nel Mezzogiorno (96,0%), per raggiungere il minimo al Centro (89,7%).

Non tutti i reflui collettati dalla rete fognaria pubblica sono convogliati verso impianti di depurazione
delle acque reflue urbane, infrastrutture indispensabili per ridurre l’inquinamento dei corpi idrici
superficiali e sotterranei. Nel 2020, il 93,7% della popolazione residente nei Comuni capoluogo di regione e provincia autonoma ha usufruito del servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane. Sono circa 605mila i residenti privi del servizio, che in parte utilizzano sistemi privati di smaltimento e trattamento dei reflui oppure sono collegati a una rete fognaria pubblica che convoglia le acque di scarico direttamente in corsi d’acqua superficiale o a mare tramite condotta sottomarina. Le città del Nord, con il 98,2%, raggiungono la copertura maggiore del servizio, con circa 70mila
residenti non serviti, mentre il Mezzogiorno si attesta al 94,0% e il Centro all’88,4%.

In Italia un terzo dell’acqua immessa in rete va perduto

Nel 2020 sono andati persi 41 metri cubi di acqua al giorno per km di rete nei capoluoghi di provincia. Si tratta del 36,2% dell’acqua immessa in rete. Secondo l’Istat, sono 236 i litri per abitante erogati ogni giorno nelle reti di distribuzione dei capoluoghi di provincia. In 11 Comuni capoluogo, tutti nel Mezzogiorno, sono state adottate misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua. Nel 2021, l’86,0% delle famiglie si dichiara soddisfatto del servizio idrico mentre il 65,9% delle persone è attento a non sprecare acqua.

Nel 2020, il servizio di distribuzione dell’acqua potabile nei 109 Comuni capoluogo di provincia, nei quali risiedono 17,8 milioni di abitanti, il 30% circa della popolazione italiana, è in carico a 95 gestori. La rete di distribuzione dei Comuni capoluogo si sviluppa complessivamente su oltre 57mila chilometri di rete. I gestori hanno complessivamente immesso in rete 2,4 miliardi di metri cubi di acqua (370 litri per abitante al giorno) ed erogato 1,5 miliardi di metri cubi, pari a 236 litri per abitante al giorno. I volumi movimentati nelle reti dei capoluoghi storicamente rappresentano il 33% circa dei volumi complessivamente distribuiti sul territorio nazionale. Rispetto al 2018, i volumi immessi in rete si riducono di oltre il 4%, i volumi erogati dell’1,6%.

Le perdite idriche

Nel 2020 sono andati dispersi 0,9 miliardi di metri cubi, pari al 36,2% dell’acqua immessa in rete (37,3% nel 2018). L’Istat sottolinea che “le perdite totali di rete hanno importanti ripercussioni ambientali, sociali ed economiche, soprattutto per gli episodi di scarsità idrica sempre più frequenti. Sono da attribuire a fattori fisiologici presenti in tutte le infrastrutture idriche, alla vetustà degli impianti e a fattori amministrativi, riconducibili a errori di misura dei contatori e ad allacci abusivi, per una quota che si stima pari al 3% delle perdite“.

In più di un capoluogo su tre si registrano perdite totali superiori al 45%. Le condizioni di massima criticità, con valori superiori al 65%, sono state registrate a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%). In sette capoluoghi i valori dell’indicatore sono inferiori al 15%: Macerata (9,8%), Pavia (11,8%), Como (12,2%), Biella (12,8%), Milano (13,5%), Livorno (13,5%) e Pordenone (14,3%). In nove Comuni, tre del Centro e sei del Mezzogiorno, si registrano perdite totali lineari superiori ai 100 metri cubi giornalieri per chilometro di rete, generalmente superiori al 50% in termini percentuali.

Aumentano le temperature nelle città italiane

L’Istat ha diffuso l’aggiornamento 2020 di statistiche e indici meteoclimatici per i 109 capoluoghi di provincia italiani. Gli indicatori 2020 per ciascun capoluogo di provincia sono stati confrontati con i valori medi del decennio 2006-2015. Per i capoluoghi di regione, i dati sono stati confrontati con i valori climatici 1971-2015. Si registra un preoccupante aumento delle temperature.

Nel 2020, la temperatura media annua dei capoluoghi di provincia è pari a +15,8°C, in aumento di 0,3°C sul valore medio del periodo 2006-2015. Gli aumenti interessano 82 città. I dati più significativi riguardano Ravenna (+1,8°C), Sondrio (+1,5), Mantova (+1,4), Parma (+1,3) e Bologna (+1,2). Considerando i soli capoluoghi di regione, l’anomalia delle temperature medie si attesta su +1,2°C rispetto al CLINO (CLimatological NOrmals). Rialzi delle temperature sia minime che massime determinano anomalie positive per tutte le 21 città esaminate. Le anomalie più importanti sono state registrate a Perugia (+2,1°C) e Roma (+2), seguite da Milano (+1,9), Bologna (+1,8) e Torino (+1,7).

I giorni estivi sono in media 115 (in linea con il valore medio 2006-2015). Nei capoluoghi di provincia, salgono a 40 le notti tropicali, fenomeno che interessa molte città e in particolare Salerno (+21 notti), Massa Carrara (+20), Catania (+19), Verbania, Napoli e Latina (+17). Considerati i capoluoghi di regione, i giorni estivi registrano una crescita media di +15 sul valore climatico 1971-2000 (93 giorni), mentre le notti tropicali salgono a quota 56. Le anomalie sul CLINO più alte si registrano a Napoli (+53 notti), Milano (+34), Catanzaro (+33) e Palermo (+27). L’indice onde di calore è in media di 16 giorni fra i capoluoghi di regione (+5 sul CLINO). Le alte anomalie riguardano Roma (+72), Perugia (+39) e Trieste (+26).

Diminuiscono le precipitazioni

Nel 2020, la precipitazione totale annua dei capoluoghi di provincia è pari a 769 mm. In media, si tratta di -94 mm sul valore medio 2006-2015. Differenze negative si registrano in 79 città. In testa Napoli (-423,5), Catanzaro (-416), Pordenone (-401,3). Nelle restanti città, si hanno scostamenti positivi con punte per Arezzo (+220,9 mm), Pisa (+204,1) e Lecco (+170,4).

Osservati i capoluoghi di regione, nel 2020 la precipitazione totale in media è pari a 661 mm (-132 mm sul corrispondente valore medio 2006-2015). Le precipitazioni sono in calo in tutte le città e in particolare a Napoli (-423,5 mm), Catanzaro (-416) e Catania (-359,7). L’anomalia 2020 dal CLINO (in media -91 mm) è più alta per Napoli (-439,6 mm), Genova (-276,9), Catanzaro (-262,1), Firenze (-221,6).

Le discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTQIA+

L’Istat e l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) hanno presentato i risultati della rilevazione condotta nel 2020-2021 sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTQIA+. La rivelazione è stata rivolta alle persone in unione civile o che si sono unite civilmente in passato. Sono oltre 20 mila, pari al 95,2% del totale, le persone in unione civile o già in unione che vivono in Italia e dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale. Lo 0,2% dichiara un orientamento asessuale, l’1,3% un altro orientamento. La quota restante preferisce non rispondere.

Le discriminazioni nel contesto lavorativo

Tra quanti dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale e sono occupati o ex-occupati, il 26% dichiara che il proprio orientamento ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione). La stragrande maggioranza delle persone omosessuali o bisessuali (in unione civile o già in unione) dichiara che il proprio orientamento sessuale è o era noto almeno a una parte delle persone del proprio ambiente lavorativo (92,5%).

Il 40,3% ha evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale. Una persona su cinque afferma di aver evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero. Questo per non rischiare di rivelare il proprio orientamento sessuale. Circa sei persone su dieci hanno sperimentato almeno una micro-aggressione sul posto di lavoro. Per micro-aggressione si intendono messaggi denigratori rivolti ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo. Si tratta di insulti sottili diretti alle persone “spesso in modo automatico o inconscio”. La più diffusa è “aver sentito qualcuno definire una persona come frocio o usare in modo dispregiativo le espressioni lesbica, è da gay o simili”.

La percentuale di coloro che dichiarano di aver subito un’aggressione fisica, non necessariamente ricondotta a motivi legati all’orientamento sessuale, da persone dell’ambiente lavorativo è dell’1,1%. Quasi una persona omosessuale o bisessuale su due (46,9%) dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione a scuola o in università.

Le discriminazioni fuori dal contesto lavorativo

Il 38,2% delle persone in unione civile che si sono definite omosessuali o bisessuali dichiara di aver subito, per motivi legati al proprio orientamento sessuale, almeno un episodio di discriminazione in altri contesti di vita (ricerca casa, rapporti di vicinato, fruizione servizi socio-sanitari, uffici pubblici uffici pubblici, mezzi di trasporto negozi o altri locali). Oltre il 68,2% ha dichiarato che è capitato di evitare di tenere per mano in pubblico un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Il 52,7% di esprimere il proprio orientamento sessuale per paura di essere aggredito, minacciato o molestato.

Con riferimento agli ultimi tre anni, l’incidenza di chi ha affermato di aver subito minacce, per motivi legati all’orientamento sessuale, escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, è pari al 3,9%. Le aggressioni di tipo violento vengono segnalate invece dal 3,1%. Le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web sono riportate dal 13%.

Alberto Pizzolante