Il crescente coinvolgimento della sensibilità comune ha generato importanti interventi normativi sul maltrattamento degli animali.
Il mutamento normativo e le sue cause
Parlando di innovazione e/o mutamento normativo si fa riferimento al fenomeno per cui il manifestarsi nella società di un problema, un conflitto o una situazione critica ha come conseguenza immediata un’innovazione o un cambiamento sul piano del diritto. Tuttavia, non ogni situazione che potrebbe presentarsi come problematica determina tale cambiamento. Devono infatti essere presenti una serie di condizioni considerate oggettive. Tra queste, particolarmente importanti risultano essere la percezione di tali problemi e delle loro cause a livello di senso comune e nelle rappresentazioni offerte dai media. Centrale è anche il ruolo che svolgono gruppi di interesse, movimenti sociali collettivi, “imprenditori morali”, istituzioni, ecc.
Tale fenomeno si è verificato in rapporto alla questione del maltrattamento degli animali, un argomento che soprattutto negli ultimi anni tocca in modo sempre più crescente la sfera emozionale-morale degli individui e che ha visto generarsi, proprio in virtù di questo mutamento della sensibilità comune, importanti interventi normativi a livello sia nazionale che Europeo. Interventi che hanno coinvolto un numero notevole di attori nel perseguimento dell’obiettivo.
Le normative italiane sul maltrattamento degli animali
In Italia il problema è normato principalmente da due articoli del Codice penale. L’articolo 544bis c.p. sostiene che “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”. L’articolo 544ter c.p. stabilisce che “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.”
Questi articoli sono stati introdotti dalla legge 20 luglio 2004, n. 189 e successivamente modificati dalla legge 4 novembre 2010, n. 201 la quale, a riprova di quanto quello di cui scriviamo sia un argomento dal forte impatto sociale, ha previsto un innalzamento del trattamento sanzionatorio. Attualmente, la pena per chi provoca la morte di un animale va dai quattro mesi ai due anni. Le pene per il maltrattamento degli animali prevedono la reclusione da tre a diciotto mesi o la multa da 5.000 a 30.000 euro.
Il primato italiano
La legge Italiana prende quindi molto sul serio il benessere degli animali, sia di proprietà che randagi e liberi. La diffusione di una sensibilità popolare verso gli animali è rispecchiata dalla propensione di giudici e legislatori a migliorare la condizione degli animali da compagnia. Ciononostante, permangano importanti eccezioni in cui la centralità del benessere degli animali viene meno. Particolarmente importante è stata la legge 14 Agosto 1991 n.281, chiamata ‘legge quadro in materia di tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo’. Con l’emanazione di questa legge, l’Italia è divenuta il primo paese al mondo a riconoscere il diritto alla vita e alla tutela degli animali randagi, vietandone la soppressione se non in casi di gravi malattie, malattie incurabili o comprovata pericolosità.
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Alessia Merico