Non c’è stato, non c’è, un gruppo capace di dar corpo a sogni e incubi degli anni Novanta come i Nirvana. Sogni e incubi che, alla luce della tragica fine di Cobain, possono essere letti come il frutto di una crisi personale dai contorni drammatici, ma che hanno assunto valore universale per milioni di persone che hanno ascoltato e amato la musica dei Nirvana.
(Ernesto Assante, Repubblica del 2 novembre1994 in occasione dell’uscita di Unplugged in New York, pubblicato dopo la morte di Kurt Cobain)
Un lampo, nulla più. Una luce accecante che dura un’istante. Segue il tuono, il fragore e il rumore che rimbomba ancora oggi. È come uno sparo, breve ma che rimane nei timpani per lungo tempo. Uno sparo come quello che, trent’anni fa, si portò via quel “bambino sensibile” che cambiò, insieme agli altri membri della sua band, il mondo della musica e del rock… Per sempre. Stiamo parlando di Kurt Cobain e di quel gruppo che dal nome sembrava voler cercare la pace interiore, ma che pace non avrà: i Nirvana.
Kurt Cobain aveva dieci anni quando, in Inghilterra, i Sex Pistols urlavano “There’s no future /No future / No future for you!” . È su queste semplici parole che si baserà vent’anni dopo la filosofia del grunge. Tuttavia, se il punk degli albori fondava la sua forza su movimenti e rivendicazioni di massa, facendo del nichilismo e della distruzione del sistema le sue colonne portanti, il grunge diventerà espressione di individui che vedono chiudersi su di loro la trappola del sistema che governa (ancora oggi più che mai) la società. Individui dispersi, illusi e abbandonati da promesse di realizzazione che la cultura di massa e del progresso avevano prefigurato.
Ma se negli anni precedenti questa disillusione si manifestava come sentimento di massa, negli anni Novanta è il singolo che non trova più il senso del suo essere e la rabbia collettiva si ripiega su se stessa, viene interiorizzata dai singoli e, nella musica, questo si traduce in brani molto più introspettivi e personali, pervasi da un senso di malessere.
I Nirvana e Kurt Cobain sono stati proprio questo: la voce di milioni di giovani che non avevano un posto nel mondo. Vi furono, certo, altre band che continuarono a portare avanti il grunge, come gli Alice in Chains, i Foo Fighters, i Mudhoney, i Soundgarden e molti altri, ma coloro che dissero al mondo che la musica e il mondo erano cambiati, l’innesco e la bomba, furono i ragazzi di Bleach, Nevermind e In Utero.
Bleach, 1989, è il primo album della band, molto legato ancora al metal e al punk, ma in alcuni brani si percepisce già quello che sarà lo stile di Cobain e compagni.
Stile che si definisce molto di più con l’arrivo di Dave Grohl alla batteria e l’incisione di Nevermind (1991). Questo fu l’album del successo, anche perché molto più appetibile al grande pubblico, visto che è, dei tre, il più “pop”. Contiene brani che diventarono ben presto il sinonimo stesso dei Nirvana: Smell Like Teen Spirits, Come As You Are, Lithium e In Bloom. Quest’ultimo è forse uno dei più ironici e sarcastici brani del gruppo, che prende in giro coloro che si atteggiano da fan sfegatati, che innalzano sull’olimpo degli idoli i loro artisti preferiti, senza capire nulla della scena underground, senza capire sentimenti, emozioni o etica.
Ironia che si rispecchia anche nel video ufficiale del brano, il quale mostra, come ha voluto sottolineare anche lo stesso Cobain, il loro lato comico: “Nell’ultimo anno la gente non ha fatto altro che continuare a prenderci troppo seriamente, ero stanco. Volevo che andassero a farsi fottere. Volevo mostrar loro che abbiamo anche un lato comico”.
In Utero (I Hate Myself and I Want to Die, questo doveva essere il titolo) è l’ultimo album della band, uscito nel 1993, dopo un periodo nero che accesero un campanello d’allarme sulle volontà autodistruttive del frontman. Quest’album, ogni volta che lo ascolto, mi trasmette inevitabilmente la fine di tutto, una confessione, un testamento, un addio. Allo stesso tempo mi disorienta, fino ad arrivare a quelle urla finali di Tourette’s che lasciano presto il posto alla meravigliosa All Apologies, l’ultimo brano dell’ultimo album dei Nirvana. Poi il nulla, uno sparo e quegli occhi di ghiaccio si spensero per sempre. Era il 5 aprile del 1994.
“What else could I wright
I don’t have the right
What else should I be
All Apologies
In the sun
in the sun I feel as one”