Pubblichiamo il discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla sessione inaugurale della seconda Conferenza Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo. Tra i temi trattati, la tutela dei beni globali e della pace, gli effetti della guerra, il ruolo dell’Unione Europea nello sviluppo globale e nel raggiungimento della pace in Ucraina, i modelli italiani di collaborazione.
«Sono lieto di porgere oggi il mio saluto alla Seconda Conferenza Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo, un appuntamento previsto dalla legge sul Sistema Italiano di Cooperazione per favorire la partecipazione dei nostri concittadini alla definizione delle politiche in questo settore e per riflettere sulle attività realizzate e sulle prospettive da sviluppare ulteriormente.
Sono trascorsi quattro anni dalla prima edizione di questo evento. Il contesto in cui avviene l’incontro di oggi è profondamente mutato, segnato dalle conseguenze economiche e sociali dell’emergenza sanitaria globale che abbiamo vissuto e da forti tensioni geopolitiche. Queste crisi si aggiungono agli altri fattori di instabilità, che pongono all’attenzione dell’intera comunità internazionale problemi particolarmente complessi e spesso correlati. La pandemia ha reso evidente che in un mondo interconnesso non esistono soluzioni locali a sfide globali come quelle delle emergenze sanitarie, dei cambiamenti climatici, della povertà estrema, dell’insicurezza alimentare. Una riflessione sulle strategie presenti e future del nostro Paese nel campo della Cooperazione allo sviluppo deve esserne consapevole.
Promuovere la tutela dei beni globali
In altri termini, non è risolutiva l’attesa che un’iniziativa basata sulla destinazione verso i Paesi più fragili soltanto delle risorse considerate eccedenti dalle economie dei Paesi più sviluppati permetta di vincere le sfide. La comunità internazionale deve saper assumere obiettivi condivisi e, intorno a essi, promuovere la tutela e l’affermazione dei beni globali. Li abbiamo già richiamati: la vita, la salute, il clima, la prosperità contro la povertà. I risultati della recente presidenza italiana del G20 ci possono aiutare. In quell’ambito abbiamo dedicato attenzione particolare alle priorità di sviluppo del continente africano e ad aspetti quali la sicurezza alimentare. Un tema, quest’ultimo, che resta drammaticamente attuale, come dimostrano le cronache di questi mesi di guerra.
Viviamo una contraddizione patente. Le grandi crisi internazionali, dalla pandemia all’aggressione all’Ucraina da parte della Federazione Russa, stanno drammaticamente riducendo, se non azzerando, risorse destinabili ad affrontare le grandi questioni dalla cui soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità. L’azione per gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ne esce indebolita. Si riaprono scenari che apparivano definitivamente superati o in via di superamento.
Gli effetti della guerra
La guerra genera effetti gravissimi: si acuiscono le tensioni, si obbligano – a parte le vittime – milioni di donne e minori ad abbandonare le loro abitazioni per cercare rifugio altrove, si rende più difficile la collaborazione internazionale in materia climatica e ambientale, si creano squilibri insostenibili nei prezzi di alcune fondamentali derrate alimentari con conseguenze destabilizzanti per intere regioni del mondo, anche a noi prossime, come l’area del Mediterraneo e il continente africano.
Si accentua la crisi della gestione del debito estero per molti Paesi. È questo l’amaro frutto di un conflitto, scatenato da Mosca per anacronistiche velleità di potenza, che richiede una risposta netta, unitaria e solidale, al fine di giungere al ripristino di condizioni di pace. La politica di cooperazione allo sviluppo ha, tra i suoi fini nobili, anche la pace. Non è soltanto la proiezione naturale dei nostri valori costituzionali: è strumento fondamentale per costruire e preservare la pace. Il rapporto tra sviluppo e affermazione dei diritti umani è evidente. E se è altrettanto evidente che con la guerra non ci può essere sviluppo è chiaro che, senza sviluppo – come si è potuto constatare in diverse parti del mondo – non ci possono essere stabilità e pace.
Il ruolo dell’Unione Europea
La politica italiana di cooperazione internazionale è, dunque, saldamente ancorata al paradigma costituito dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dai suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. L’ultimo di essi richiama tutti i Paesi industrializzati a un impegno finanziario di aiuto pubblico da destinare allo sviluppo pari almeno allo 0,70 del Reddito Nazionale Lordo. L’approccio della Repubblica alle grandi questioni globali è fondato su un multilateralismo efficace, capace di elaborare al livello internazionale risposte tempestive, coordinate, lungimiranti. Trova radice in questa convinzione la scelta del finanziamento alle missioni delle grandi organizzazioni internazionali, a partire dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Un contribuito di primaria importanza lo reca l’Unione Europea. Le nostre politiche di cooperazione sono concepite e attuate in maniera tale da assicurare piena sinergia con le iniziative promosse in questo delicato ambito dalle Istituzioni comuni. L’Unione e i suoi Stati Membri sono il maggiore donatore di assistenza e cooperazione e uno dei principali attori in materia di sviluppo a livello mondiale. La rilevanza dell’azione europea congiunta, capace di proiettarsi nei cinque continenti, deve vederci consapevoli del nostro ruolo, delle nostre responsabilità, del nostro potenziale.
La vocazione italiana alla solidarietà
L’Italia è sensibile alle sfide collettive che richiedono un impegno che trova radici profonde nel tessuto culturale, sociale, politico, del nostro Paese. Un impegno che nasce dal forte spirito di solidarietà che ha caratterizzato la Repubblica Italiana già nel secondo dopoguerra e che prese slancio ulteriore negli anni Sessanta del secolo scorso. Fu significativa la vocazione del nostro Paese a mettere a disposizione dei popoli che andavano affrancandosi dal colonialismo il nostro sostegno e i frutti della nostra esperienza. Intorno all’esigenza di ordinare e di mettere a sistema le molteplici iniziative che si erano andate concretizzando in maniera generosa e, a volte, frammentaria, si ritrovarono esponenti di sensibilità politiche e ideali diverse.
Dal volontariato giunse una spinta per la legge Pedini che consentì, nel 1966, la dispensa dal servizio militare per quanti scegliessero un periodo di servizio civile nei Paesi in via di sviluppo. Vi fece seguito la legge 1222 nel 1972 che aprì alla cooperazione tecnica. Nel 1979, con la legge 38, il Parlamento diede vita per la prima volta a una disciplina organica di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. La Cooperazione è stata, fin dall’inizio, patrimonio collettivo della nostra comunità nazionale. I numerosi volontari presenti in maniera capillare negli angoli più sperduti del pianeta ne sono una testimonianza, e ad essi va espresso un apprezzamento sincero.
I modelli italiani di cooperazione
Un altro terreno positivo è stato, ed è, quello della cooperazione accademica, strumento capace di porre le premesse per una vasta rete di accordi di collaborazione interuniversitaria, capace di attivare reti di ricerca. È un aspetto essenziale che permette di rafforzare le capacità di conoscere e di tessere un dialogo aperto e fecondo, dischiudendo orizzonti ricchi di prospettive.
Il proficuo rapporto con imprese e territori è un altro specifico punto di forza del modello italiano di Cooperazione allo sviluppo. Si tratta di una eredità che, consolidatasi negli anni ‘60, rappresenta oggi un modello solido e diversificato, riconosciuto e apprezzato a livello internazionale. Dalla cooperazione decentrata ai partenariati territoriali, le nostre regioni e le nostre città hanno condiviso e continuano a promuovere buone pratiche di sviluppo a livello locale, svolgendo un ruolo ancora oggi fondamentale se si considera che alcuni degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite resterebbero irraggiungibili senza il pieno coinvolgimento delle comunità locali.
Di questa realtà plurale, fatta di Amministrazioni centrali, regionali e locali, di Università, di espressioni della società civile, di imprese, ha preso atto la riforma che dal 2014 regola la Cooperazione allo Sviluppo. Con l’Agenzia Italiana per la Cooperazione che, sotto la vigilanza del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha il compito di dare attuazione alle politiche di cooperazione. È stata coinvolta la Cassa Depositi e Prestiti, come banca di sviluppo operante in un’ottica sia bilaterale sia multilaterale. Un approccio integrato, per stimolare quei partenariati tra pubblico e privato finalizzati a costruire un futuro di prosperità e di progresso, nel rispetto della sostenibilità.
Il ruolo dei cittadini stranieri presenti in Italia
Consentitemi, infine, una riflessione sulle comunità di cittadini stranieri presenti in Italia. Il loro contributo alla conoscenza fra i nostri Paesi è prezioso. Il lavoro degli immigrati genera ricadute positive nel funzionamento del nostro sistema produttivo e di welfare e, insieme, contribuisce allo sviluppo dei Paesi di origine. Si pensi che le rimesse generate nel mondo verso i Paesi a reddito basso e medio ammontano, nel solo 2021, a circa 550 miliardi di euro.
Da queste esperienze deriva anche il successo di iniziative imprenditoriali, avviate da esponenti di questa diaspora nei rispettivi Paesi di origine; testimonianza ulteriore del valore dell’incontro realizzatosi.
La cooperazione allo sviluppo viene definita dalla legge parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia, al pari di quella culturale, politica, economica e finanziaria, di difesa. Sono certo che questa Conferenza Nazionale rafforzerà ancora di più il suo valore strategico nella costruzione di orizzonti di pace, di stabilità, di progresso».