giovedì, Novembre 21, 2024

La magia di Maradona nelle parole di Gianni Mura

Ad un anno dalla scomparsa, ricordiamo Diego Armando Maradona pubblicando un meraviglioso articolo di Gianni Mura del 1985.

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Ad un anno dalla scomparsa, ricordiamo Diego Armando Maradona pubblicando un meraviglioso articolo di Gianni Mura, apparso su La Repubblica il 5 novembre 1985.

Lui doveva fermare la Juve e lui l’ha fermata. La fantasia popolare non tiene conto del collettivo, parola tanto cara a Ottavio Bianchi. Un uomo solo al comando della nave dei sogni: la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Diego Armando Maradona, il suo sinistro non perdona. Dicono abbia scavalcato san Gennaro, che non ha il vantaggio di esibirsi tutte le domeniche. Pallonetto è un quartiere di Napoli, non solo la specialità di Maradona. Quasi tutti i suoi gol sono allegri e beffardi come la sua faccia, che è fin troppo ovvio definire da scugnizzo. Facce come la sua propongono finte Lacoste e finte Vuitton a Sanità, con vero entusiasmo. Che differenza con Jeppson e Krol, profeti venuti dal Nord, elevati a bandiera più per necessità che per convinzione: Napoli o altrove, per loro, era lo stesso.

[…] Adesso non è più importante sapere se Maradona è uomo-squadra: è uomo-città. Non è un giocatore del Napoli, ma di Napoli. Non il capitano del Napoli, ma di Napoli. E come tale si esprime. […] E certe caratteristiche di Maradona (il senso e la necessità della famiglia numerosa e allargata, la casa che non trova) lo napoletanizzano in proiezione esterna e lo fanno aderire sempre più strettamente alla sua città.

Maradona uomo-città: come sembrano lontane le frasi demagogiche sui miliardi per lui (tot milioni al chilo) e non per le fogne, non per gli ospedali, come se costruire fogne ed ospedali rientrasse nei compiti di un club di calcio. Maradona, “Na m’adora”, certo: ma è difficile valutare chi si sia arricchito di più (non parlo di soldi, chiaramente). Se lui, esprimendosi da primo fra gli uguali, libero di fiorire e di essere come in una gran serra a cielo aperto, o Napoli.

Il nord, le industrie: adesso a Napoli l’industria è il pubblico del San Paolo, che non basta a tenerlo tutto: 60 mila abbonati. Napoli canta ma conta, al di là dei giochi di parole e delle giocate di Maradona, del 34 che non esce mai e del 10 che esce a richiesta e dedica la vittoria alla città. Confrontata a Milano, Torino, Roma, Napoli è l’unica grande città indivisa nel tifo e quindi unanime nell’accendersi e nell’aggrondarsi. Non c’ è chi piange e chi ride: o di qua o di là. Maradona l’ha capito subito e non ha avuto bisogno di farsi forza, di venirle incontro. Gli è bastato essere se stesso: maglietta, jeans e scarpe da ginnastica, le partite a calcetto, le visite ad ammalati e carcerati.

Tutti i campioni del calcio amano il pubblico, a parole, poi ognuno al suo posto. Maradona nei bagni di folla ci guazza come un’anatra, tutti quei tifosi li sente con e per lui come lui è con e per loro, ma sul serio. Altri professionisti del pallone, anche molto bravi, non sono così coinvolti, pur non vivendo sulla torre d’avorio. Non ritengono di farsi coinvolgere, per pudore, per paura o per aridità. Maradona no, è attento e sensibile anche alle voci dal basso: non è uno che ci marcia, ma uno che ci crede. Parlando di Napoli si corre il rischio di finire nel luogo comune, che è poi quello dove molti s’incontrano. Parlando di Maradona, idem.

Raramente, credo, il nostro calcio ha mostrato un’adesione così immediata fra l’anima di una città e quella di un uomo (non di una squadra, o almeno non direi, ancora). Anche la lingua aiuta: guappo, guapo, lo capiscono anche a Baires, tango e tammurriata hanno le stesse cadenze. Maradona, artefice magico, estrae dal cilindro del suo piede miracoli a gettone. Meglio non credere più ai miracoli, Maradonapoli è oro; è ora, forse.

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