giovedì, Novembre 21, 2024

«L’informazione sia unita nella lotta alla mafia», intervista a Pino Maniaci

Secondo Reporter Senza Frontier Pino Maniaci, giornalista ed editore di Telejato, è uno dei cento eroi mondiali dell’informazione.

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Secondo Giancarlo Siani, «da sempre sono esistite e continuano ad esistere due categorie di giornalisti: i Giornalisti Giornalisti e i giornalisti impiegati. La prima è una categoria così ristretta, così povera, così “abusiva”, senza prospettiva di carriera, che non fa notizia, soprattutto oggi. La seconda, asservita al potere dominante, è il giornalismo carrieristico, quello dello scoop e del gossip, quello dell’esaltazione del mostro e della sua redenzione». Pino Maniaci appartiene indubbiamente alla categoria dei Giornalisti Giornalisti. L’editore di Telejato è il simbolo del buon giornalismo, dell’informazione che lotta contro la mafia e contro la «mafia dell’antimafia». Secondo Reporter Senza Frontier, Pino Maniaci è uno dei cento eroi mondiali dell’informazione. Intervistarlo è stato, per me, un privilegio raro.

Qui, a Vibo Valentia, il 25 ottobre 2012 ha perso la vita Filippo Ceravolo, un ragazzo di 19 anni. Filippo è una vittima innocente di mafia. Al momento della sua uccisione, il giovane era in macchina con un suo amico, Domenico Tassone, molto vicino ad uno dei clan di ‘Ndrangheta che, in quel periodo, erano in guerra tra di loro. L’auto dei due è stata crivellata di colpi destinati a Tassone, che è riuscito a salvarsi. Filippo non ce l’ha fatta. Lei ogni giorno ricorda le vittime innocenti di mafia. Qual è la storia a cui è più legato?

Le storie sono tante. Abbiamo sempre raccontato le storie di tutte le persone innocenti che, come nel caso di questo ragazzo, nulla avevano a che fare con le mafie e che purtroppo si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Vorrei ricordarti che domani è il 9 maggio e ricorre l’anniversario della morte di Peppino Impastato. Poco fa, ai giovani ho ricordato il ruolo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nel 1982: da lì iniziò il risveglio delle coscienze, la ribellione da parte del popolo siciliano, la maturazione di quegli anticorpi che videro la luce nel 1992, dopo le stragi, con la nascita delle associazioni antimafia. Raccontiamo queste storie con lo spirito di tramandare la memoria, affinché ciò che è accaduto non accada nuovamente. Questo è il ruolo anche dell’informazione. È successo, cerchiamo di non farlo succedere più.

Su Telejato, fino allo scorso anno, ogni 26 aprile Lei ha dato gli auguri di buon compleanno a Matteo Messina Denaro, invitando poi il suddetto pezzo di merda a costituirsi. Messina Denaro non si è costituito, ma lo Stato è riuscito a catturarlo. Cosa ha rappresentato per Lei e per la Sicilia quell’arresto?

Oltre a fargli gli auguri (pezzo di merda!), ho fatto anche una promessa: quella di tagliarmi i baffi in caso di una sua cattura. Ho tagliato i baffi, che fortunatamente sono ricresciuti perché non mi riconoscevo più. Dopo 52 anni, mi sentivo nudo. È stato un momento importante perché si è chiusa una storia terribile. Oggi, in Sicilia, noi abbiamo una cosa bella: il primato di non avere un capomafia carismatico che possa guidare le cosche. Minchia! Questo è molto importante per noi.

Pino Maniaci è un punto di riferimento per i giornalisti, non soltanto in Italia. È quello che potremmo definire un Giornalista Giornalista. Cosa è per, Lei, il giornalismo?

Io sono la normalità, lo continuo a ripetere fino alla nausea. Il problema è che gli altri non fanno il proprio dovere nel combattere le mafie, nel combattere la criminalità organizzata. Dovrebbe essere dovere di ogni giornalista e di ogni testata giornalistica comunicare i fatti reali del paese Italia. Noi siamo infiltrati e il fatto che, invece, manchi questo tipo di informazione è grave. Vorrei ricordarti che l’unica trasmissione che, in Italia, si occupava di mafia è stata chiusa: di mafia non dobbiamo parlarne. Il problema è la solitudine. Si diventa un punto di riferimento solo perché si rimane soli: questo è brutto. Dico ai colleghi: mettiamoci insieme, salviamo il Paese, diventiamo punto di riferimento per le nuove generazioni e denunciamo questi pezzi di merda. Noi, su Telejato, abbiamo fatto anche nomi e cognomi delle famiglie mafiose presenti sul territorio e le abbiamo additate alla pubblica gogna. Abbiamo utilizzato la ‘nciuria, il soprannome, che è più terribile per loro perché in questo modo si offende il loro onore. Loro si sentono uomini d’onore e per noi disonorarli dovrebbe essere una questione d’onore. Albanese aggiungerebbe: «Cazzu cazzu iu iu».

Alberto Pizzolante
Alberto Pizzolante
Nato in provincia di Lecce nel 1997, si è laureato in Filosofia presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Dirige likequotidiano.it.

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