Vittorio Emanuele di Savoia e le sorelle Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, eredi di Umberto II, ultimo Re d’Italia, citeranno in giudizio la presidenza del Consiglio, il ministero dell’Economia e la Banca d’Italia per la restituzione dei gioielli di Casa Savoia, custoditi in un caveau della Banca d’Italia dal giugno 1946. La richiesta dei Savoia è quella di ricevere i gioielli di uso quotidiano del Tesoro della Corona d’Italia, quei monili utilizzati dalla famiglia reale italiana fino al 1946. Si tratta di un patrimonio di 6.732 brillanti e 2 mila perle, di un valore stimato in 300 milioni di euro.
Il 30 novembre 2021 Sergio Orlandi, avvocato degli eredi Savoia, ha inviato una lettera a Banca d’Italia, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Economia e delle Finanze chiedendo la restituzione del tesoro dei Savoia. Banca d’Italia ha risposto sostenendo di non poterne disporne “senza un coordinamento con le Istituzioni della Repubblica coinvolte. La richiesta di restituzione avanzata non può pertanto essere accolta, tenuto conto delle responsabilità del depositario“. L’avvocato Orlandi ha spiegato che negli scorsi giorni è tentata una mediazione con i rappresentanti della Banca, della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia. L’esito è stato negativo. Era presente Emanuele Filiberto di Savoia, in qualità di delegato del padre Vittorio Emanuele e delle zie.
Emanuele Filiberto: “Non è un atto ostile”
In un intervista al Corriere della Sera, Emanuele Filiberto ha sostenuto che questo “Non è un atto ostile verso l’Italia, tantomeno verso il premier Draghi. Egli ha ha tutta la stima della famiglia Savoia e personalmente ricordo di aver già affrontato con lui il tema dei gioielli anni fa. Non chiediamo indietro nulla agli italiani, solo la restituzione di beni privati di famiglia. Come è stato restituito negli anni alle ex famiglie regnanti di Jugoslavia o Bulgaria, persino agli eredi degli zar di Russia.
Sono gioielli ricevuti come dono di nozze – continua Emanuele Filiberto – o acquistati dai Savoia o ancora ricevuti come donazione. La XIII disposizione transitoria finale che ha avocato allo stato altri beni di Casa Savoia non ne parla. L’importante è che dopo averli tenuti sotto chiave per 75 anni tornino alla luce, possano essere visti. Però il primo passo è che ce li restituiscano, poi decideremo in quale forma renderli di fruizione pubblica. Penso anche a un museo. Intanto adesso andiamo avanti, pronti a portare la cosa alla Corte Europea“.
La storia dei gioielli di Casa Savoia
Il 5 giugno del 1946 l’avvocato Falcone Lucifero, reggente del Ministero della Real Casa, e il Grand’Ufficiale Livio Annesi, direttore capo della Ragioneria del Ministero della Real Casa, si recarono presso la Banca d’Italia con un importante incarico. Re Umberto II aveva dato loro il compito di affidare in custodia alla cassa centrale della Banca d’Italia gli oggetti preziosi in dotazione alla Corona del Regno. Secondo le intenzioni dell’ultimo Re d’Italia, la Banca avrebbe dovuto custodire le gioie tenendole “a disposizione di chi di diritto”.
Non fu un atto volontario, da parte di Umberto II. Tre giorni dopo il referendum che rese l’Italia una repubblica, infatti, il Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi richiese al re il trasferimento del Tesoro della Corona dal Palazzo del Quirinale alla Banca d’Italia. De Gasperi motivò la richiesta facendo riferimento alla categorizzazione, di quei gioielli, come beni non disponibili dello Stato. I monili erano quindi appartenenti allo Stato e assegnati al re per l’adempimento delle sue funzioni. Non appartenevano a Casa Savoia.
La confisca sul patrimonio dei Savoia non è però mai stata esercitata su quei gioielli. Da quasi 76 anni, il tesoro è custodito in un cofanetto a tre ripiani in pelle di colore nero, con una fodera in velluto azzurro.