Quante donne sono state stuprate dall’esercito di Tito? Quante donne? Quanti bambini? Quanti uomini? Quante persone sono state uccise nel nome di Tito? Tito prepara al pianto i tuoi occhi. Non si può ignorare il sangue.DUE VOLTE TITO – Sopravvivere alla tragedia, Francesca Mignemi e Eleonora Paris
Lo spettacolo Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia propone al pubblico la prima tragedia di William Shakespeare, il Tito Andronico. Un’opera poco rappresentata tra quelle del Bardo, giovanile, efferata, truculenta. La riscrittura di Landi, Mignemi e Paris, tuttavia, ce ne ricorda il valore canonico, mettendolo al tempo stesso in discussione. Ne insegue quei presupposti generativi (la violenza del testo e la giovane età dell’autore) e trasforma quella che è passata alla storia come la tragedia della vendetta nella tragedia della contemporaneità, la nostra. Una riscrittura, dunque, estremamente moderna perché esempio brillante di una sensibilità artistica nuova, e tecnicamente sorprendente perché più realista del re.
Il lavoro di Virginia Landi, Francesca Mignemi e Eleonora Paris riesce infatti a restituire, senza perderne uno spillo, l’essenza, la tragicità, la storia di Shakespeare, e al tempo stesso ad ampliarla, trasformarla, esplorando con intelligenza alcune linee narrative profonde del testo, che più che mai risuonano all’anima contemporanea. Un’operazione, inoltre, autenticamente shakespeariana, che utilizza cioè il potere delle parole e l’abilità degli attori per modellare le scene e lo spazio vuoto del palco. Non si percepisce l’assenza della scenografia, anzi si ringrazia, perché si ha la possibilità di apprezzare l’affiatamento e la tecnica di cui fanno sfoggio gli attori. Nei cambi scena non facili e nel ritmo che scambia velocemente i ruoli, riescono a far emergere l’indirizzo e la qualità corale dello spettacolo, che colpisce perché assume le proporzioni di un coro generazionale.
La trama di Tito, padre nobile e assassino
The Tragedy of Titus Adronicus è la storia di Tito, generale romano, tornato in patria in un momento di grande crisi per Roma. L’imperatore è morto e i figli, Saturnino e Bassanio, si contendono il potere. L’accordo raggiunto, anche per merito del grande condottiero, è solo apparente e nell’ombra si apparecchiano omicidi e tradimenti. L’epilogo sarà dei più tragici, in una spirale di vendette che confonde i malvagi con i giusti e a cui nessuno, o quasi, sopravvive.
La trama muove dunque da un vuoto di potere. Una crisi ereditaria che accende la spia sul rapporto tra i padri e i figli, grande fil rouge del Tito Andronico, testo in cui Shakespeare fa riferimento circa settanta volte al ruolo del genitore ripetedento father e mother, e circa ottanta a quello del figlio, tra le varie occorrenze di son, daughter e child.
Linea narrativa è esaltata nel Due volte Tito, in cui alberga la consapevolezza che per sopravvivere alla tragedia occorre che i figli scelgano diversamente dai padri. Se essi, come nell’originale, non metteranno in discussione il modello ereditato, finiranno per contribuire alla scia di crimini che li precede e in essa finiranno inghiottiti. Tito e Tamora, un padre e una madre, incarnano infatti la legge non scritta dell’orgoglio e dell’onore, che per perpetrarsi sceglie, come Crono, di divorare i propri figli. Morirà la progenie di Tamora, regina dei Goti e imperatrice di Roma, per vendicare l’onore di Tito. Morirà la progenie di Tito, per vendicare l’orgoglio di Tamora.
Due volte Tito: la centralità di Lavinia
Una delle componenti più interessanti di questa rilettura di Shakespeare che ci dona la compagnia, però, è quella che riguarda il ruolo di Lavinia. Figlia esemplare di Tito, Lavinia è vittima di stupro, atto che Shakespeare fa avvenire fuor di scena, ma che il Due volte Tito non vuole nascondere agli spettatori. Si tratta di uno dei momenti più strazianti della rappresentazione, che assume il carattere di aperta denuncia nei confronti della società contemporanea.
Definita “ricco ornamento di Roma”, Lavinia è il catalizzatore muto della tragedia. Ridotta ad agnello sacrificale, impotente, apre bocca solo per lodare il padre o per chiedere pietà alla regina dei Goti. Su di lei si abbatterà la violenza della vendetta di Tamora contro Tito, su di lei la ferocia dello stupro da parte di Chirone e Demetrio, su di lei la lama del padre “misericordioso” che per amore – oh, Tito, nobile assassino -, per liberarla dalla vergogna, la ucciderà: “Die, die, Lavinia, and thy shame with thee.” (Muori, muori, Lavinia, e con te la tua vergogna). Eppure Chirone e Demetrio sono due ragazzi che agiscono col favore della madre, Tito ama Lavinia più di ogni altro dei suoi figli. Tutti la cercano, tutti la vogliono, tutti la amano… fino ad ucciderla.
Si rivela nella sua sorte quel sostrato ideologico ripugnante che antepone la legge del più forte e la presunta rispettabilità sociale alla vita umana (l’amore, quale amore? l’onore, quale onore? Tito uccide sua figlia per liberarla dalla vergona, ma non è lei ad aver commesso un crimine, non è lei a dover provare vergogna!). Si denuncia il rigurgito violento, possessivo, alienante, alla nostra società per niente estraneo, che abusa verbalmente e fisicamente.
Lavinia, nella sua bellezza, è imprigionata e ammutolita (mozzata è infine la lingua dopo la violenza, ulteriore sugello simbolico). Annichilita, reificata, considerata merce di scambio, un ricco premio per il più forte: “È una donna e per questo può essere corteggiata, è una donna e per questo può essere vinta, è Lavinia e per questo deve essere amata”, sono le terribili parole di Demetrio che anticipano lo stupro e la mutilazione. È la logica patriarcale ferrea e agghiacciante. Disporre di Lavinia è possibile, piegarla è necessario, violentare Lavinia per ferire Tito appare legittimo nella storia degli uomini. Poco importa che Tamora sia una donna, se ripropone lo stesso modello dominante. Lavinia la implora di fermare i suoi figli dal farle del male e non a caso “eppure avete un volto di donna”, le dice.
Ma Tamora è spietata, non ascolta, anzi ammonisce i figli di non fallire il compito virile, che la pietà, insiste, è cosa da donne. E allora “preparara i tuoi occhi al pianto Tito”, perché vedrai ciò che non avresti mai voluto. Perché sarai testimone del male che hai contribuito a perpetrare, dell’odio che hai seminato e di quello che raccogli.
La crisi del mancato parricidio
« La crisi consiste appunto nel fattoANTONIO GRAMSCI – QUADERNI DAL CARCERE, 1930.
che il vecchio muore e il nuovo non
può nascere: in questo interregno si
verifcano i fenomeni morbosi più
svariati. »
Shakespeare risolve l’intreccio come Ovidio e Tito vendica Lavinia come Progne vendicò Filomela nelle Metamorfosi: con altra violenza, se possibile ancora più efferata. L’urgenza che racconta Due volte Tito è anche questa: la necessità di spezzare la catena, di interrompere il modello, di interrogarsi sul valore dei padri e se necessario ucciderli metaforicamente prima che essi uccidano i figli. Il mancato parricidio di Chirone e Demetrio, del resto, è il crimine dello stupro. L’accettazione cieca di Tito delle leggi di Roma e dell’esempio di Ovidio, conduce ad ulteriori morti.
Uno dei messaggi di questa meravigliosa messinscena, allora, è anche quello di mettere in discussione l’eredità che ci è stata consegnata, politica e culturale, attraverso l’esercizio critico costante. Un’operazione non di rifiuto aprioristico e nemmeno di accettazione passiva, ma di attenzione, coraggio e dialogo. Per questo, chi vedrà lo spettacolo non farà fatica a riconoscere una sensibilità nuova anche nella rilettura dei classici e nel rapporto con l’eredità culturale dei padri. Caratteristica che, con le altre che si è cercato di delineare, colloca questo questo lavoro, senza alcun dubbio, tra le proposte più interessanti del teatro recente.
Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia
Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia è in cartellone al Teatro i di Milano fino al 28 novembre.
Ideazione Virginia Landi, Francesca Mignemi, Eleonora Paris
Drammaturgia Francesca Mignemi, Eleonora Paris
Regia Virginia Landi
Con Francesco Aricò, Diana Bettoja, Federico Gariglio, Valeria Girelli
Scene e costumi Laura Pigazzini
Sound design Alessandro Bigi
Produzione Teatro delle donne – Centro Nazionale di Drammaturgia