Tra la notte del 10 agosto e il pomeriggio dell’11 agosto due donne hanno scelto di togliersi la vita nel carcere Lorusso-Cotugno di Torino.
Susan John, una detenuta di 43 anni, ha scelto di morire di fame. Aveva iniziato a rifiutare cibo e acqua tre settimane fa ed era tenuta sotto osservazione dai medici del carcere. La donna non ha acconsentito a nessun tipo di terapia o di alimentazione forzata e ha rifiutato un ricovero d’urgenza. Parlava solo per chiedere quando il suo compagno sarebbe andato a visitarla. Susan viveva nel reparto ATSM del carcere di Torino, acronimo che sta per “Articolazione tutela salute mentale”.
Il suo avvocato, Wilmer Perga, ha denunciato di non essere stato messo a conoscenza del trasferimento della donna nel reparto dedicato alle detenute con particolari esigenze psichiatriche: «Questo io non lo sapevo – ha dichiarato – quindi si sarebbe potuto pensare anche a un TSO. Perché non è stata ricoverata? Perché non è stata fatta almeno un’iniezione? Mi sembra incredibile…Eppure ho apprezzato l’interessamento, molto raro in questi casi, della direttrice che mi ha telefonato».
«Né il garante nazionale, né quello di Torino né io avevamo intercettato questa vicenda», ha affermato Bruno Mellano, garante dei detenuti del Piemonte. «Il 4 agosto ero in carcere e ho parlato con la direzione, gli operatori dell’istituto e parecchie donne detenute che, di solito, sono le nostre sentinelle e tra loro hanno un atteggiamento accudente. Nessuno ci ha segnalato il caso», ha aggiunto. «Sono rammaricata, ma dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative al caso di questa persona», ha affermato Monica Cristina Gallo, garante comunale per i diritti dei detenuti a Torino. Susan è morta nell’indifferenza.
Poche ore dopo, nella stessa sezione femminile del carcere di Torino, Azzurra Campari, una donna di 28 anni, si è impiccata con un lenzuolo.
«Le carceri somigliano a moderni lazzaretti»
«La situazione sanitaria nelle carceri resta allarmante, come hanno anche confermato in più occasioni anche gli esperti della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria», ha commentato Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria SAPPE. «Le carceri assomigliano sempre più a “moderni lazzaretti” di manzoniana memoria. La consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza delle carceri del Paese. La situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose», ha aggiunto.
«Negli ultimi 20 anni – prosegue Capece – le donne e gli uomini della polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 24mila tentati suicidi ed impedito che quasi 195mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Anche questo è quel che fanno tutti i giorni le donne e gli uomini del corpo: salvare la vita ai detenuti che tentato di togliersi la vita in cella. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti. L’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti».
Come chiedere aiuto
Se stai vivendo o assistendo ad una situazione di emergenza puoi chiamare il 112. Se sei in pericolo o conosci qualcuno che lo sia puoi chiamare il Telefono Amico al numero 02 2327 2327 (servizio attivo tutti i giorni dalle 10 alle 24) o contattarlo attraverso la chat di Whatsapp al numero 345 036 1628 (servizio attivo tutti i giorni dalle 18 alle 21). Inoltre, puoi rivolgerti a Samaritans Onlus al numero 06 77208977, un servizio attivo tutti i giorni dalle 13 alle 22.