- 29 novembre 1947
Le Nazioni Unite votano la risoluzione 181 per la partizione della Palestina in uno Stato ebraico (56% del territorio) e in uno arabo (col territorio restante). Venne accettata dallo Stato ebraico ma non dalla comunità araba. Non venne mai attuata.
- 15 maggio 1948
Dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele.
Nakba, catastrofe, per la Palestina.
Prima guerra arabo-israeliana. Israele conquista la penisola del Sinai.
- Luglio 1948
Tregua.
Israele incorpora nei propri confini la Galilea orientale, il Negev e striscia di terra che porta a Gerusalemme di cui ne occupa metà.
700.000 palestinesi lasciano le loro case.
Incominciamo dall’inizio o meglio, da uno degli inizi possibili di questa assurda storia che in Medio Oriente si trascina da quasi ottant’anni. Per ricercare le cause e per capire come si è arrivati all’oggi, non basterà un articolo, ma sarà un lavoro che ci impegnerà per diversi giorni e per farlo ho deciso di lasciar parlare le immagini, gli artisti che hanno ritratto o immortalato il corso degli eventi.
Il fronte d’Israele di Robert Capa
Tre anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, dopo averci documentato lo sbarco alleato in Normandia e la liberazione di Parigi, Capa non si dà tregua e si dirige in Israele, dove stava per scoppiare un conflitto che, ancora oggi, fatica a trovare una reale risoluzione. La documentazione fotografica va dal 1948 al 1950 e mostra l’arrivo dei migranti ebrei in Israele, passando dai campi di accoglienza, dove ricevevano le prime cure e dei letti approssimativi in attesa di ricevere una casa, fino alle feste dove ci si divertiva e si ballava.
Esiste tuttavia anche un lato oscuro del reportage del fotografo statunitense: la prima guerra arabo-israeliana. Le scene immortalate da Capa mostrano diversi aspetti del conflitto, foto dell’esercito in marcia, abitanti di un kibbutz che si riparano all’interno di trincee durante gli attacchi aerei arabi o le cisterne che portavano l’acqua a Gerusalemme al termine del conflitto.
Le altre fotografie di Capa riportano invece l’attenzione sui primi momenti di vita del nuovo stato ebraico, le votazioni, i congressi, la gente che cerca un giornale, le feste di chi gioisce nell’essere appena arrivato e la situazione nei campi di accoglienza. L’occhio del fotografo sa cogliere, come solo un grande come lui sa fare, l’istante preciso, l’espressione di un volto, un’inquadratura che ci consentono di percepire l’apprensione, la paura, la gioia, tutte emozioni presenti contemporaneamente in un popolo che, lasciatosi da poco alle spalle la tragedia dell’olocausto, si ritrova a dover fronteggiare la nascita dello Stato di Israele in un clima di estrema tensione, del quale sentiamo ancora oggi gli echi.
La cosa sconcertante delle fotografie di Robert Capa è che i volti, gli occhi delle persone e dei bambini, li ritroviamo ancora oggi in molti reportage delle zone di guerra mediorientali.
Il fronte palestinese di Ismail Shammout
Mentre Robert Capa cominciava a fotografare il fronte israeliano nel 1948, Ismail Shammout si trovava costretto a lasciare la propria terra, la sua casa: la Palestina. Aveva diciotto anni durante la Nakba. Era nato a Lydda nel 1930. La guerra lo costrinse a lasciare la sua casa insieme alla sua famiglia, per trovare rifugio, dopo una lunga marcia, nei campi di rifugiati di Khan Younis a Gaza. Non servirà una fotocamera per imprimere nella sua mente quelle tragiche giornate.
Nel 1950 riesce ad arrivare al Cairo dove intraprende i suoi studi artistici che lo porteranno a guadagnarsi una borsa di studio che gli consentirà di venire in Italia per studiare presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Ho scelto di proporre qui alcuni dei meravigliosi olii e inchiostri del pittore palestinese, che ci rendono forse più facile accostarci agli avvenimenti degli ultimi giorni.
I primi due rappresentano due versioni dello stesso avvenimento: il Massacro di Deir Yassin. Il 9 aprile del 1948, un mese prima della dichiarazione d’indipendenza di Israele, nel pieno della guerra civile che precedette gli avvenimenti dell’estate del ‘48, un commando di miliziani appartenenti all’ Irgun e alla “banda Stern”, due fronti estremisti del movimento sionista, attaccarono il villaggio palestinese di Deir Yassin. Gli abitanti opposero resistenza all’attacco, il che comportò una caccia casa per casa con la conseguente uccisione di oltre cento persone, fra cui molte donne e bambini, e l’espulsione dei superstiti.
Massacro di Deir Yassin 1, 1953, è un olio su tela monocromo in scala di grigi, con una dimensione di 100×80 cm. Con questa caratteristica in “bianco e nero” è inevitabile che torni alla mente un altro importante dipinto della storia, forse uno dei più emblematici ditpinti sulla tragicità della guerra: Guernica di Pablo Picasso. Se quest’ultimo, però, lascia intravedere l’orrore della guerra attraverso la caotica frammentazione dell’immagine, in un vorticoso stile cubista, quello di Shammout è uno stile molto realistico e per alcuni aspetti anche espressionista. La luce che taglia il quadro al centro lascia spiccare in questa monocromia il volto arcigno del soldato sionista e l’urlo della donna in secondo piano, subito dietro al soldato, in un contorno di violeneze e abusi. In alcuni casi sembra quasi di ritrovare, nelle posizioni e nei volti delle donne dei riferimenti proprio a Picasso.
Massacro di Deir Yassin 2, 1955, invece è realizzato ad inchiostro, ma le dimensioni rimangono le medesime del precedente (100×80 cm). Spicca subito il contrasto tra le due versioni, prima di tutto per i colori accesi e secondo per il tratto più semplice e privo di dettagli. Questo, forse, perché non ne servono di dettagli, basta il colore. Basta la contrapposizione tra il blu degli abiti delle donne e il rosso del sangue, tanto sangue: accanto alle donne accasciate a terra, quelle già morte e quelle in attesa del colpo fatale della baionetta, il sangue sul volto del bambino stretto fra le braccia della madre in primo piano e quello dell’abito del bambino subito di fianco. Il quadro, nonostante i colori accesi è angosciante, è tutto un rivolo rosso, un rosso che tinge anche lo sfondo.
Infine voglio proporvi un quadro che forse rappresenta uno dei più vivi ricordi dell’artista, momenti vissuti in prima persona in quell’infuocata estate del 1948.
Un sorso d’acqua, 1953, è un olio di dimensioni 60×45 cm e rappresenta una scena di caos scatenata da una ciotola di acqua portata ad una madre accasciata a terra, probabilmente dal caldo e dalla lunga marcia, accerchiata dai suoi figli e da un uomo che cerca di fermare la calca per lasciarle bere quel sorso di acqua. La didascalia del quadro sul sito ufficiale dell’artista riporta tra parentesi “sfollamenti forzati 1948”. Si può solo immaginare l’apprensione di quelle persone verso “un sorso d’acqua” dopo chilometri e chilometri di marcia nell’arido clima mediorientale. Chissà quante volte Shammout e la sua famiglia avranno sentito dentro di loro l’arsura della sete prima di mettere piede nel campo rifugiati di Khan Younis, chissà quante volte un sorso d’acqua è stato l’unico filo che teneva appesa la vita di quelle persone.
Chissà quante persone, ancora oggi e quante domani, proveranno le stesse cose, quanti ancora dovranno lasciare le loro case, perdere le proprie famiglie, quanti ancora dovranno lottare e azzuffarsi per avere una ciotola che contenga semplicemente una goccia d’acqua, un sorso che vale una vita intera.
1 Robert Capa, Una festa, la ragazza che balla è un’immigrata russa appena arrivata. Israele, Tel Aviv, 1948.
2 Robert Capa, Dopo essere arrivati in Israele ad ogni immigrato vengono dati una rete e un materasso. Dopo essere sbarcati, vengono portati a Shaar Aliya (La Porta), un campo di passaggio dove vengono svolti i primi esami medici e dove avvengono le registrazioni, dai quali vengono mandati nelle diverse città, luoghi di lavoro, insediamenti o case per anziani e indigenti. Al campo di St. Luke, ora chiamato Shaar Aliya, c’è un continuo via vai di reti da letto metalliche e materassi. Quando gli immigrati si spostano in un altro campo, portano il letto con loro.
3 Robert Capa, Bambina al campo di Shaar Aliya, campo di transito per gli immigrati. Israele, vicino Haifa, 1950.
4 Robert Capa, Quartiere vecchio di Gerusalemme subito dopo il cessate il fuoco dell’estate del 48.L’autocisterna ripete il suo giro, questo è il giorno di Sabbath (venerdì) e tutto deve essere preparato secondo i riti. Israele, Gerusalemme, giugno 1948.
5 Robert Capa, un’ edicola a Gerusalemme, 1950.
6 Robert Capa, fronte centrale. Gli abitanti di un Kibbuz (un insediamento ebraico) si nascondono in una trincea durante un raid aereo arabo. maggio-giugno 1948.
7 Ismail Shammout, Il massacro di Deir Yassin 1, 1953, pittura a Olio, 100 x 80 cm.
8 Ismail Shammout, Il massacro di Deir Yassin 2, 1955, inchiostro, 100 x 80 cm.
9 Ismail Shammout, Un sorso d’acqua, 1953, pittura a olio, 60 x 45 cm.
Fonti delle immagini
Per le fotografie di Robert Capa: Robert Capa: Israel 1948-1950, https://www.magnumphotos.com/newsroom/robert-capa-israel-1948-1950/
Per i quadri di Ismail Shammout
https://ismail-shammout.com/