Nel 2020, undici comuni capoluogo di provincia, localizzati tutti nel Mezzogiorno, hanno fatto ricorso a misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile. Secondo l’Istat, la causa è da individuare nella forte obsolescenza dell’infrastruttura idrica e nei sempre più frequenti episodi di riduzione della portata delle fonti di approvvigionamento. Rispetto al 2019 il numero di Comuni interessati da misure di razionamento è aumentato di due unità. Misure di razionamento sono state adottate in quasi tutti i capoluoghi della Sicilia (tranne a Messina e Siracusa), in due della Calabria (Reggio di Calabria e Cosenza), in un capoluogo abruzzese (Pescara) e in uno campano (Avellino).
Le misure di razionamento più restrittive
In quattro capoluoghi le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile hanno riguardato tutto il territorio comunale. A Enna l’erogazione dell’acqua è stata sia sospesa che ridotta per 32 giorni. Pescara ha visto una riduzione del servizio solo in alcune ore della giornata, specialmente nelle ore notturne o nelle prime ore mattutine per 74 giorni. A Cosenza e a Reggio di Calabria le misure sono state adottate per fascia oraria e a giorni alterni, rispettivamente per 366 e 77 giorni. L’adozione di misure di razionamento solo per una parte del territorio comunale ha coinvolto sette capoluoghi di provincia (a parte Avellino, tutti situati in Sicilia). Si registrano due casi in più rispetto all’anno precedente. Le misure restrittive hanno interessato circa 227mila residenti.
I servizi di depurazione
Nei 21 Comuni capoluogo di Regione e Provincia autonoma, nei quali vivono 9,7 milioni di abitanti, il 94,7% della popolazione residente risulta allacciata alla rete fognaria pubblica. Il servizio pubblico di fognatura è assente per 514mila residenti nei capoluoghi. In questi casi, le acque reflue urbane sono convogliate generalmente verso sistemi autonomi di smaltimento, quali ad esempio vasche private. La presenza del servizio di depurazione è maggiore nei capoluoghi di regione del Nord (98,2%), si riduce nel Mezzogiorno (96,0%), per raggiungere il minimo al Centro (89,7%).
Non tutti i reflui collettati dalla rete fognaria pubblica sono convogliati verso impianti di depurazione
delle acque reflue urbane, infrastrutture indispensabili per ridurre l’inquinamento dei corpi idrici
superficiali e sotterranei. Nel 2020, il 93,7% della popolazione residente nei Comuni capoluogo di regione e provincia autonoma ha usufruito del servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane. Sono circa 605mila i residenti privi del servizio, che in parte utilizzano sistemi privati di smaltimento e trattamento dei reflui oppure sono collegati a una rete fognaria pubblica che convoglia le acque di scarico direttamente in corsi d’acqua superficiale o a mare tramite condotta sottomarina. Le città del Nord, con il 98,2%, raggiungono la copertura maggiore del servizio, con circa 70mila
residenti non serviti, mentre il Mezzogiorno si attesta al 94,0% e il Centro all’88,4%.