Era il 2010, la Notte della Taranta aveva come Maestro concertatore Ludovico Einaudi e dall’altra parte dell’oceano compariva, sulle colonne del Wall Street Journal, un articolo che paragonava la Pizzica salentina al Blues del delta del Missisipi. «Come il blues del delta del Mississippi questa forma musicale, nata sotto il sole crudele di questo lembo estremo nel sud est dell’Italia, ha avuto origine nei campi. […] Una valvola di sfogo musicale, carica e ferocemente ottimistica, dalle inevitabili fatiche di una vita di duro lavoro, sotto un rigido sistema sociale», scriveva il giornale americano.
Quando mi sono avvicinato al tema della pizzica non ho potuto fare a meno di notare come questa musica popolare salentina avesse degli elementi in comune con la musica blues. Innanzitutto le origini popolari, come sottolineato dal Wall Street Journal. Nati entrambi negli strati più bassi della società, i due generi sono una via di fuga dallo sfruttamento e dall’emarginazione sociale. Entrambi si basano su strumenti di facile reperibilità, anche se nel blues già dalle origini si utilizzano degli strumenti a corda, mentre nella Pizzica prevalgono gli elementi percussivi come i caratteristici tamburelli.
Se nella Pizzica la ritualità era un elemento fondamentale e pubblico, in cui la danza delle tarantate era concessa e permetteva loro di liberarsi dal “veleno” che le affliggeva, nel blues la ritualità era da nascondere: agli schiavi dei campi di cotone veniva spesso proibito di cantare, così che essi erano costretti a nascondersi e ad usare strumenti improvvisati che non attirassero l’attenzione.
Analogie ritmiche tra la Pizzica e il Blues
Come per il Blues, della Pizzica non si conoscono delle origini certe, sebbene si possano fare dei raffronti tra riti di iniziazione e orgiastici dell’antichità classica e i culti africani che fanno parte anche della storia del Blues. Un altro aspetto in comune tra la musica popolare del Salento e quella del delta del Mississippi è la ripetizione. Lo schema formale della strofa tipica di entrambi i generi è basato sulle molteplici ripetizioni, quasi fosse un continuo botta e risposta o una sorta di preghiera che andasse ripetuta da chi assisteva e partecipava al rito. D’altro canto la ripetizione è tipica di tutte le forme rituali, dal rosario cristiano ai mantra buddhisti e induisti.
Black Betty e Pizzica di San Vito sono due brani che presentano lo stesso schema e la stessa metrica. Il primo brano, nella versione di Lead Belly – uno dei primi bluesman accreditati – è molto simile alla pizzica: nella sua versione di Black Betty le parole sono accompagnate dal solo fondo di “percussioni” date dal battere delle mani.
Looky looky yonder
Looky looky yonder
Looky looky yonder
Where the sun done gone.
The cap’in’ can’t hold ‘em
Cap’in’ can’t hold ‘em
Cap’in’ can’t hold ‘em
The way I do.
(Black Betty, Lead Belly)
Non c’era da vinì,
non c’era da vinì,
non c’era da vinì
e so’ vinutu,
so’ li sospiri tua,
so’ li sospiri tua,
so’ li sospiri tua
m’hannu chiamatu.
(Pizzica di San Vito)
Il vodu: la Pizzica africana
La ripetizione ritmata è tipica anche dei culti vodu di Haiti. Il vodu è un culto religioso praticato da secoli in Africa occidentale e giunto nelle Americhe con gli schiavi. Come descritto da Alessandra Brivio nel libro Il vodu in Africa – Metamorfosi di un culto, il vodu è «un complesso sistema di credenze che si fonda su un’intensa pratica rituale: le danze, i movimenti e le decorazioni del corpo, i fenomeni di possessione, i colori, i suoni, gli odori, gli animali sacrificati e gli oggetti dei santuari sono gli attori essenziali delle cerimonie rituali, attraverso le quali gli adepti costruiscono un senso di appartenenza sociale e tracciano un dialogo con il mondo del non visibile. I vodu sono entità che incarnano al contempo il bene e il male, la speranza di prosperità e di successo e una costante minaccia di morte, sovente espressa attraverso il linguaggio della stregoneria».
Per una maggiore chiarezza delle affinità esistenti tra la Pizzica salentina e il culto dei loa del Vodu haitiano, lascio di seguito uno stralcio del libro La terra del rimorso di Ernesto de Martino.
«I loa, associati a determinati ritmi musicali evocatori, a determinate danze e a particolari colori, caratterizzano variamente il comportamento del posseduto. Così, per esempio, quando si tratta di impersonare Ogu, che è un loa guerriero, il posseduto si pone un fazzoletto rosso intorno al collo e altri fazzoletti dello stesso colore intorno alle braccia, assume linguaggio e posa da soldato, compie con la spada pericolosi esercizi, simula il combattimento: qualche cosa di simile doveva essere il “panno rosso” di cui fa cenno Epifanio Ferdinando e qualche cosa di simile doveva aver luogo in quella forma di possessione in cui, secondo quanto riferisce il Kircher, i tarantati erano sensibili al colore rosso e al fulgore delle armi, e gradivano musiche marziali.
Se Ogu sembra collegarsi alla taranta tempestosa, Erzulie, il loa della civetteria femminile e delle arti di seduzione, può essere collegato alla taranta libertina, e a quei ricorrenti comportamenti delle tarantate in cui lo splendido abito nuziale, la toilette eccentrica, il contemplarsi nello specchio, le esibizioni lascive hanno una parte preponderante. L’impulso verso il mare, verso le immersioni in acqua e simili trovano nel culto vodu il suo orizzonte mitico-rituale nel loa Agué, le cui feste si celebrano in riva al mare, presso uno stagno o un fiume, o addirittura su un veliero,che talora è sostituito dall’impiego cerimoniale di un veliero in miniatura: i posseduti di Agué portano un remo col quale fanno il gesto di remare, imitano col suono della voce il fragore delle onde marine, e talora sono colti da un improvviso impulso di gettarsi in mare, tanto che quando la cerimonia, come accade a Port-au-Prince, si svolge su un veliero, l’equipaggio sorveglia che i posseduti non realizzino il loro impulso.
Ancora una volta non si può fare a meno di pensare alla nostalgia del mare nel più antico tarantismo, ai canti che variamente facevano menzione del mare, e alla singolare terapia in barca che aveva luogo nel mare di Puglia».