Pubblichiamo un estratto dell’intervista realizzata da Radio Vaticana al cardinale Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba. Il capo della Chiesa cattolica etiope ha analizzato l’evolversi del conflitto in Tigray. Secondo il cardinale, al momento la situazione è il miglioramento: «Non ci sono guerre o combattimenti come c’erano stati alcuni mesi fa. Ora va un po’ meglio, perché ci viene detto che i negoziati stanno proseguendo tra il governo federale e il governo regionale o le autorità politiche, perché per lo più il conflitto ruota attorno a questioni politiche ed economiche. Ci auguriamo che questo negoziato in corso porti a una pace duratura. Tuttavia, ogni volta che ci sono guerre e conflitti, sono i civili che soffrono di più.»
«La gente comune ha patito molto, principalmente nella regione del Tigray, ma il dramma si è diffuso anche fuori dal Tigray, nelle altre regioni vicine come la regione di Amhara e la regione di Afar. Le persone stanno ancora soffrendo in queste aree di sfollamento, fame e distruzione» ha proseguito l’arcivescovo. La guerra ha portato anche alla distruzione di scuole e strutture sanitarie. Souraphiel ha dichiarato che «in alcune zone ai bambini viene chiesto di andare a scuola solo per evitare che rimangano sempre a casa. Sebbene siano stati in grado di tornare in classe, hanno tuttavia trovato gli edifici distrutti. Stanno quindi seduti per terra, su pietre o tronchi di legno per seguire le lezioni. Lo stare insieme per gli studenti è molto importante. Ma la sofferenza della gente è continua. Ci auguriamo che gli aiuti non vengano a mancare per evitare che la fame diventi carestia».
Il blocco degli aiuti umanitari in Tigray
Durante l’intervista, l’arcivescovo ha confermato quello che più volte ha denunciato l’Ufficio Affari Esteri del Tigray. Secondo Souraphiel, «La situazione umanitaria sta peggiorando sempre di più, perché il passaggio nei corridoi umanitari attraverso i quali le Nazioni Unite o il governo o altre agenzie stanno cercando di portare cibo nel Paese a volte viene bloccato e non sappiamo da chi. A causa di ciò, la sofferenza della gente sta aumentando. Anche la siccità è peggiorata a causa del cambiamento climatico. Abbiamo insomma una grande crisi umanitaria in cui le persone hanno bisogno di assistenza. […] Qui in Etiopia, la gente comune continua a pregare per la pace e per l’unità. Viviamo insieme da secoli. L’Etiopia non dovrebbe essere vista come un Paese di conflitto o di guerra, come accade solo negli ultimi 40 o 50 anni a causa di interessi politici diversi.»
L’impegno delle istituzioni internazionali
Il cardinale ha fatto riferimento agli interventi delle istituzioni internazionali: «Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, la Croce Rossa Internazionale e molte altre istituzioni, tra cui la Chiesa cattolica attraverso la Caritas, gli ortodossi, i musulmani e i protestanti, stanno cercando di salvare trasporti, cibo e medicine, se possibile. La Conferenza episcopale cattolica dell’Etiopia ha lanciato appelli alla rete cattolica nel mondo, specialmente attraverso Caritas Internationalis. Solo due settimane fa abbiamo chiesto denaro per aiutare queste persone, non solo nel Tigray, ma anche nelle regioni vicine. Abbiamo molte sfide qui in Etiopia, ma credo e confido nelle preghiere delle persone che sono state unite per secoli, che si sono sposate e hanno vissuto come etiopi. Speriamo di avere delle soluzioni in modo che le persone tornino ad essere una cosa sola e ad essere unite».
Alberto Pizzolante