Perché la Donna Vestita di Nero ha bisogno dell’immaginazione per “rimanere attaccata alla vita”? E questa metafora perché sembra così comprensibile? Perché parla del dramma dell’assenza, quella percepita e quella reale (diverse?). È la chiave, forse, dello spettacolo L’Uomo dal Fiore in Bocca in scena al Teatro Menotti di Milano fino al 27 febbraio.
La pièce è un adattamento dell’originale e omonimo dramma in atto unico di Luigi Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca. Espressione che si riferisce ad un epitelioma, un tumore della pelle, di cui l’uomo dovrà morire. Quanto gli rimane da vivere? Tanti giorni quanti sono i fili d’erba di un cespuglio scelto a caso da uno sconosciuto. Il dramma si consuma dunque tutto sull’uomo, sulla consapevolezza della morte imminente.
C’è però in Pirandello un personaggio evanescente, piccolo piccolo, quasi una nota di colore, la Donna Vestita di Nero. Chi è? La moglie dell’Uomo dal Fiore in Bocca e imminente vedova. Il riadattamento firmato da Francesco Zecca elimina completamente l’uomo dalla scena e fa prima attrice quella che era solo una comparsa, la Donna, la quale fa i conti con un perimetro chiamato assenza. E l’Uomo del titolo dov’è? Non c’è? No, non c’è, se non nelle parole di lei. Lui è già morto e lei, la Donna Vestita di Nero, una straordinaria Lucrezia Lante della Rovere, si attacca ai ricordi, ai dettagli, elabora il lutto, si emoziona, si contraddice, ricostruisce un’immagine di lui e di se stessa: invoca l’immaginazione per rimanere attaccata alla vita.
L’allestimento scenico è essenziale: un rettangolo a neon che delimita il selciato di un rettangolo minore, su cui posa un cappello. Un’evidente tomba, su cui la Donna Vestita di Nero si china a piantare fili d’erba, gli stessi che erano i giorni di vita di lui. Come? Lui è morto! Certo, ma siamo nello stadio del lutto.
La Donna cerca di ricomporre (ripiantando) la spaccatura della coscienza che non riesce a comprendere l’essenza della morte, ossia l’assenza stessa. Quando lui è in vita, la morte è l’imminenza della morte, inconcepibile fino in fondo, perché non ancora avvenuta. Quando lui è morto, la morte è realizzata, e allora c’è già da fare i conti con il dopo. Da questo inafferrabile, da questa inconcretezza che sgretola le cose della vita, la Donna Vestita di Nero cerca di tirare fuori dettagli, particolari, oggetti, tutto ciò che possa puntellare una nuova realtà. Ovviamente non basta, da qui lo scollamento, il paradosso dell’immaginazione come sostegno alla materialità del vivere.
Per il resto, il tempo corre, il pubblico del Teatro Menotti segue agevolmente Lante della Rovere, attrice dotata di un monologare magnetico. Le musiche sono sfruttate sapientemente nell’accompagnare tensioni e distensioni. Qualche dubbio solo sulla scelta della canzone di chiusura, peraltro meravigliosa, ma di cui forse non abbiamo sentito l’esigenza. Chissà cosa ne penserete voi, quando vedrete L’Uomo dal Fiore in Bocca, adattamento e regia di Francesco Zecca, con Lucrezia Lante della Rovere, una produzione Argot Produzioni e Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro.
Info su Teatro Menotti.
Buon teatro!
Federico Demitry